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Lunedì 4 marzo Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
UNA SEPARAZIONE
(Iran 2011) di Asghar Farhadi dur. 123'
con Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Peyman Moadi, Babak Karimi, Ali-Asghar Shahbazi
Iran. Nader e sua moglie Simin stanno per divorziare. Hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia undicenne ma Nader non vuole partire. Suo padre è affetto dal morbo di Alzheimer e lui ritiene di dover restare ad aiutarlo. La moglie, se vuole, può andarsene... [MYmovies]
Premi:
Vincitore di 57 premi internazionali (più 20 nomination) tra cui miglior film straniero agli Oscar (oltre alla nomination per la sceneggiatura), ai César, ai David di Donatello e ai Golden Globes, 5 premi al Festival di Berlino (tra cui l'Orso d'Oro, il Premio della giuria ecumenica, Miglior Attore e Miglior Attrice), 4 premi agli Asian Film Awards (regia, montaggio, film, sceneggiatura).
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Così la critica:
Giancarlo Zappoli (MYmovies)
Non è facile fare cinema oggi in Iran soprattutto se ci si è espressi in favore di Yafar Panahi condannato per attività contrarie al regime. Ma Faradhi sa, come i veri autori, aggirare lo sguardo rapace della censura proponendoci una storia che innesca una serie di domande sotto l'apparente facciata di un conflitto familiare. Il regista non ci offre facili risposte (finale compreso) ma i problemi che pone sono di non poco conto per la società iraniana ma non solo. Certo c'è il quesito iniziale non di poco conto: per un minore è meglio cogliere l'opportunità dell'espatrio oppure restare in patria, soprattutto se femmina?
Michele Favara (GliSpietati.it)
Il complesso scenario umano e sociale squadernato in “Una separazione” mostra l’Iran dilaniato al suo stesso interno dallo scontro sociale e culturale e da questo immobilizzato, la generazione di mezzo, relativamente agiata e di buoni studi, impantanata tra desideri di fuga e attaccamento alla tradizione, impossibilitata a disfarsi del corpo muto e ingombrante dei padri, proiettante ansie di modernità e rovelli etici sulla generazione dei figli. Le derive quasi kafkiane della giustizia in uno stato confessionale, la forza ineludibile dei condizionamenti religiosi, il ruolo slittante della donna (mai totalmente subalterna, più lungimirante dell’uomo, mai assoluta protagonista nonostante il futuro sia femmina) non si cristallizzano in rigido manifesto.
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ASGHAR FARHADI Khomeyni Shahr (Iran), 1972
Nato nel 1972, Farhadi compie studi teatrali all’Università di Teheran e frequenta corsi presso l’Istituto del Giovane Cinema Iraniano. La sua carriera di regista inizia con una serie di cortometraggi in 8 e 16 millimetri e alcune serie TV per la Iranian Young Cinema Society. Il primo lungometraggio, “Dancing in the Dust”, risale al 2003: è la storia di due persone (un giovane e la moglie da cui ha divorziato) che vivono ai limiti della società. L'anno successivo dirige “Beautiful City” (2004), con protagonista un giovane omicida per amore in attesa della maggiore età e della conseguente esecuzione della condanna a morte. Anche questo secondo lavoro ottiene numerosi premi in diversi festival internazionali. “Fireworks Wednesday” (2006) è il suo terzo lungometraggio: “Il film è molto ben costruito nella struttura psicologica e ricco nel taglio narrativo; lo stile è quello di una piéce teatrale con molti dialoghi, pochi luoghi, costruzione per scene madri”. Unico difetto “l'obbligo a parlare d'altro non consentendo la censura di affrontare precisi temi politici” (Rossi, Cineforum). Con “A proposito di Elly” (2009) Farhadi firma il suo primo successo internazionale, “confermando la predilezione per i luoghi unici, l'indagine psicologica, l'esplosione di conflitti in gruppi apparentemente omogenei e sereni”. Il successivo “Una separazione” (2011) è semplicemente “un film imperdibile sull'Iran di oggi, dove la menzogna regna sovrana e solo i bambini sanno leggere la realtà” (Di Lino, Cinemavvenire). Agli americani (che lo hanno premiato con l’Oscar per il miglior film straniero) è piaciuto tantissimo.
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