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Lunedì 3 dicembre Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
DIAZ
(Italia/Francia/Romania 2012) di Daniele Vicari dur. 120'
con Elio Germano, Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Monica Barladeanu, Pippo Delbono
Genova, 21 luglio 2001: 300 poliziotti e 70 agenti di un reparto speciale fanno irruzione nella scuola “Diaz”, dove hanno trovato riparo 93 giovani provenienti da diverse nazioni che avevano partecipato alla protesta contro il summit dei G8. Il violento attacco delle forze dell'ordine sui manifestanti disarmati e semiaddormentati segnerà una delle pagine più tragiche e tristi della recente Storia del nostro Paese.
Premi:
Vincitore di 4 premi internazionali (più 4 nomination) tra cui migliori montaggio, produttore e sonoro in presa diretta ai Nastri d'Argento Italiani.
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Così la critica:
Giona A. Nazzaro (FilmTV)
Al netto di tutte le considerazioni, “Diaz” è un film notevole. Mettendo il silenziatore alle inevitabili polemiche e puntualizzazioni, Vicari ha realizzato un’opera la cui tenuta emotiva e spettacolare è davvero encomiabile (...). Nessuna traccia del pauperismo da volontariato tipico del cinema politico italiano. E, soprattutto, zero riduzione di complessità. Risultato: un robustissimo thriller metropolitano nel quale confluiscono il Castellari di “I guerrieri del Bronx”, echi del Carpenter di “Distretto 13. Le brigate della morte” e di “1997. Fuga da New York”, tracce di Costa-Gavras e di Petri. (...) Non una nuova primavera, ma solo l’indizio di un cinema che vorremmo trovare più spesso in sala. Perché “Diaz” è, a conti fatti, il nostro “Fragole e sangue”.
Federico Pontiggia (Il Fatto Quotidiano)
A Daniele Vicari l'etichetta di cinema civile non piace, eppure le ricadute civili di “Diaz” ci sono. Tre i meriti fondamentali: ricordare “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la II Guerra Mondiale”, consumata tra la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, su cui è caduto un colpevole oblio; dopo quello sulle stragi di Stato, inaugurare speriamo un filone sull'orrore di Stato, capace di “fare giustizia” laddove potrebbe non esserci in aula; sotto il profilo cinematografico tout court, firmare un film decisamente popolare, puntando sulle emozioni il pugno allo stomaco dell'assalto della polizia alla Diaz e trovando insieme al genere horror anche il “Salò” di Pasolini con le torture a Bolzaneto.
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DANIELE VICARI Rieti (Italia), 1967
“Daniele Vicari è uno dei pochi registi italiani che offrono un sostegno a quelle microstorie mai raccontante, scivolando, ogni qualvolta se ne presentava l'occasione, nella visione artistica di una paura da affrontare o di una sfida da seguire. Per lui, il cinema è un affare sociale, strumento, al pari grado di altre arti, di svisceramento della sensibilità all'interno dei rapporti fra gli uomini. Il mettere in relazione. Questo è il suo stile e da qui partono i suoi progetti. Patinato e pragmatico, a volte, e sperimentale e futuribile, in altre, è comunque uno dei pochi autori italiani capaci di accettare il rischio della ricerca espressiva, seguendo contaminazioni che ridanno linfa nuova a quel processo artistico, viscerale e intuitivo che è il cinema" (Frau, MyMovies). Laureatosi in Storia e Critica del cinema, ha collaborato in qualità di critico cinematografico con la rivista Cinema Nuovo, dal 1990 al 1996, e con la rivista Cinema 60, dal 1997 al 1999. Dopo aver diretto alcuni corti e diversi documentari (“Partigiani”, “Comunisti”, “Uomini e lupi”, “Bajram”, “Sesso, marmitte e videogames”, “Non mi basta mai”, “Morto che parla”), nel 2003 dirige “Velocità massima” (2003), il ritratto del mondo notturno delle gare automobilistiche clandestine, metafora di una civiltà basata sull’affermazione individuale a ogni costo. Il successivo “L'orizzonte degli eventi” (2005) è la storia di un fisico nucleare sul Gran Sasso che entra in contatto con un pastore macedone, mentre il documentario “Il mio paese” (2006) è “una scelta coraggiosa, una presa di posizione non solo espressiva e formale ma anche di sostanza. Quello che Vicari realizza, in un anno di riprese, è una lucida e onesta riflessione, l'affresco di un Paese in grave difficoltà che tenta faticosamente di ripensarsi e ripensare il suo ruolo economico” (Borroni, Cineforum). Dirige quindi “Il passato è una terra straniera” (2008, dal romanzo di Carofiglio) in cui uno studente in legge si lascia tentare da un pericoloso giocatore d'azzardo che diventerà la scorciatoia per l'inferno.
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