|
|
Lunedì 15 gennaio Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA
(Finlandia, 2017) di Aki Kaurismäki – dur. 98’
con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu.
Un giovane siriano arriva una notte nel porto di Helsinki, si addentra nella città e incontra casualmente un commesso viaggiatore finlandese, che se ne sta andando da casa. Si aiuteranno a vicenda nonostante il razzismo che li circonda.
Premi:
Vincitore di 7 premi internazionali più 4 nomination, tra i quali l’Orso d’Argento come Miglior Regia al Festival di Berlino.
|
|
|
|
|
Così la critica:
Emanuela Martini (FilmTV)
I film fatti, all’apparenza, di niente, quando invece sono puntigliosamente cesellati, parola per parola, immagine per immagine, colore per colore, canzone per canzone, finiscono spesso per essere i più belli, densi, sinceri, emozionanti. (...) ed ecco: “L’altro volto della speranza” di Aki Kaurismaki, autore di poche parole e incrollabile moralità (compresa la moralità delle immagini), attento alle persone, al dolore e alla solidarietà come alla crudeltà e alla stupidità, che riproduce senza scarti in storie costellate di personaggi e battute surreali e segnate da uno humor “keatoniano”.
Natalia Aspesi (La Repubblica)
Ovunque c'è musica nostalgica e triste, un vecchio solo con la sua chitarra o una piccola scalcinata band, che suonano secondo gli intenditori, persino rock finnico-sovietico anni 70. Kaurismaki ha nel mondo (quindi anche in Italia) una piccola folla di appassionati mai delusi lungo i trent'anni del suo cinema, i critici lo stimano, i festival lo premiano. Per amarlo bisogna lasciarsi andare alla sua ironia stralunata, alla sua morale eccentrica, al tentativo - come ha detto il regista alla Berlinale dove il film è stato premiato per la miglior regia - «di cambiare il mondo che sta andando a pezzi»; colpa di nazionalismi, chiusura delle frontiere, disumanità più dei governi che delle persone. Infatti mentre nel film i responsabili finlandesi dell'immigrazione respingono la richiesta di asilo di Khaled (e di tanti altri) «perché ad Aleppo non si sta poi così male», la televisione mostra la quotidianità delle distruzioni e dei massacri in quella disperata città. E la gente comune (ma non solo) in quelle terre nordiche, capisce di doversene singolarmente prendere carico. Per il futuro di tutti.
|
AKI KAURISMAKI
Orimattili, Finlandia, 4 aprile 1957
“Forse ho pensato di far cinema perché non sono capace di nessun lavoro onesto”.
“Fare un film è così noioso che non voglio impiegarci dei mesi, non ce la farei. La prima volta che realizzi un film è tutto molto emozionante, ma dopo è solamente un lavoro”.
“Mi sento libero di rompere tutte le convenzioni cinematografiche, che comunque non ho mai imparato. E questo naturalmente comporta una certa solitudine, che comincia già per strada, quando la gente cambia marciapiede per non incontrarmi”.
“Aki Kaurismäki è un regista eccentrico. La sua è un’eccentricità che si esprime in una fìlmografia dall’andamento alquanto bizzarro, ma sempre molto personale, capace di lasciar convivere al proprio interno la programmatica goliardia che prorompe dai suoi film rockettari con le dolenti storie d’amore e di emarginazione sociale, l’estrosa e molto libera rivisitazione dei classici letterari con uno sguardo sempre originale sulle strutture narrative del cinema di genere: il noir e il melodramma, soprattutto. Regista tendenzialmente di poche parole nelle interviste, ma capace di improvvisi guizzi ironici al microfono come sullo schermo, Kaurismäki è autore di un cinema che pone al proprio centro il problema dello stile, anche se non necessariamente secondo i canoni dell’autorialità. I suoi film sono sovente capaci di coniugare il rigore formale di Bresson con la dinamicità narrativa dei B-movies hollywoodiani, la riflessione sull’essenza del linguaggio cinematografico con il recupero stralunato dei modelli rappresentati da Buster Keaton e da Tati. Il cinema per lui è innanzitutto un mezzo per conoscere il senso della vita e, proprio per questo, nei suoi film il racconto non è mai disgiunto dalla ricerca di un senso etico dell’esistenza. L’analisi fenomenologica della sofferenza umana può inevitabilmente portare alla rivelazione del dolore, ma anche allo sberleffo di una soluzione farsesca o all’inatteso lieto fine (Viganò, Film DOC).
|
|
|
|
|
|