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Lunedì 12 febbraio Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
IL CLIENTE
(Iran, Francia, 2016) di Asghar Farhadi – dur. 124’
con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi, Farid Sajadi Hosseini..
Emad e Rana sono due coniugi costretti ad abbandonare il proprio appartamento a causa di un cedimento strutturale dell'edificio. Si trovano così a dover cercare una nuova abitazione. La nuova casa era abitata da una donna di non buona reputazione e un giorno Rana, essendo sola, apre la porta (convinta che si tratti del marito) a uno dei clienti della donna il quale la aggredisce. Da quel momento per Emad inizia una ricerca dell'uomo in cui non vuole coinvolgere la polizia.
Premi:
Vincitore di 8 premi internazionali più 17 nomination, tra i quali 1 premio Oscar (Miglior film straniero) e 1 nomination ai Golden Globe (Film straniero) e 2 premi al Festival di Cannes (Miglior attore, Miglior sceneggiatura).
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Così la critica:
Sergio Sozzo (Sentieri Selvaggi)
Il cliente si apre con alcune delle sequenze piu’ potenti di tutto il cinema di Farhadi: l’evacuazione notturna del palazzo in pericolo di crollo, con l’apparizione improvvisa di questa ruspa-mostro che sembra stare mangiandone le fondamenta, quella porta aperta lasciata da Rana prima di fare la doccia, e la scoperta graduale da parte di Emad degli indizi dell’uomo misterioso (ma anche del passato scandaloso dell’inquilina precedente) seminati in giro per l’appartamento, sono tutti semi di una visione lucidissima del processo di costruzione in cui le tensioni del racconto si raddoppiano nelle suggestioni lasciate delle immagini..
Antonio Petierre (Onda cinema)
Con questo ultimo film, il regista iraniano si conferma autore di grande talento e con uno stile inconfondibile, composto da un lavoro di scrittura minuziosa, nel descrivere le dinamiche psicologiche dei personaggi, con dialoghi e scene che passano dalla rarefazione visiva alla densità drammaturgica della recitazione degli attori. La macchina da presa è sempre incollata ai personaggi: primi piani e totali, interni labirintici dove si muovono i personaggi; pochissimi campi medi e lunghi in esterni, che sono delle interpolazioni, delle chiuse di capitoli, o passaggi, da una scena a un'altra.
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ASGHAR FARHADI
Isfahan, Iran, 7 maggio 1972
“Nei miei film ci sono echi hitchcockiani, ma è il Neorealismo ad avermi maggiormente influenzato. Credo che sia dovuto alle somiglianze con il contesto storico e sociale tra l’Iran e l’Italia di quegli anni”.
“I miei personaggi fanno un gran parlare di azioni, senza mai commetterne alcuna. Credo che sia la nostra tendenza, come esseri umani, di sederci e fantasticare sul modo in cui agire o affrontare determinate situazioni senza poi trovare la forza o il coraggio di essere migliori di chi ci ha preceduto”.
Dopo cortometraggi, documentari e serie TV, i suoi primi tre lunghi - ‘Dancing in the Dust’ (2003), ‘Beautiful City’ (2004) e ‘Fireworks Wednesday’ (2006) – sono “ben costruiti nella struttura psicologica e ricchi nel taglio narrativo”, ma hanno il difetto di “parlare d'altro non consentendo la censura di affrontare precisi temi politici” (Rossi, Cineforum).
L’Occidente comincia ad apprezzarlo a partire da ‘A proposito di Elly’ (2009, Orso d’argento a Berlino) ma è con ‘Una separazione’ (2011, Orso d’oro, Oscar, Golden Globe, David di Donatello, César, British Film Award: praticamente tutto) che arriva anche un impensabile successo di pubblico. Per il CdSera è “un film imperdibile sull'Iran di oggi, dove la menzogna regna sovrana e solo i bambini sanno leggere la realtà”.
Dopo ‘Il passato’ (2013) girato in Francia, nel 2016 torna in Iran per la realizzazione de ‘Il cliente’, secondo Oscar per il miglior film straniero. Ma essendo cittadino iraniano, per l’ordine esecutivo emanato da Trump, non può essere presente alla cerimonia e affida ad una lettera la sua dichiarazione, letta sul palco: “Dividere il mondo fra noi e gli altri, i ‘nemici’, crea paure e impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell'empatia che oggi ci serve più che mai”.
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