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LA TENEREZZA
(Italia, 2017) di Gianni Amelio – dur. 103
Con Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi.
Lorenzo è un anziano avvocato appena sopravvissuto ad un infarto. Vive da solo a Napoli in una bella casa del centro, da quando la moglie è morta e i due figli adulti, Elena e Saverio, si sono allontanati. O è stato lui ad allontanarli? Al suo rientro dall'ospedale, Lorenzo trova sulle scale davanti alla propria porta Michela, una giovane donna solare e sorridente che si è chiusa fuori casa, cui l'avvocato dà il modo di rientrare dal cortile sul retro che i due appartamenti condividono. Quella condivisione degli spazi è destinata a non finire: Michela e la sua famiglia - il marito Fabio, ingegnere del Nord Italia, e i figli Bianca e Davide - entreranno nella vita dell'avvocato con una velocità e una pervasività che sorprenderanno lui stesso. Ma un evento ancor più inaspettato rivoluzionerà quella nuova armonia, creando forse la possibilità per recuperarne una più antica.
Premi:
VinVincitore di 5 premi internazionali più 3 nomination, tra i quali 1 Globo d’Oro (Miglior attore) e 2 Nastri d’Argento (Migliore regia, Miglior attore).
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Così la critica:
Federico Pontiggia (Cinematografo.it)
La tenerezza, bella parola oggi scambiata per (“fa tenerezza”) pena o scippata agli umani dagli animali, è il nuovo film di Gianni Amelio. E’ tutto fuorché perfetto, ma cresce dentro, e a distanza di giorni dalla visione non se ne va. Ci sono didascalismi evitabilissimi, involuzioni e secche di sceneggiatura, ma anche tante buone cose: innanzitutto, è un film novecentesco, ideologico, non (pensiero) debole, financo massimalista. Cinema che non ha paura di dire qualcosa, qualcosa di importante, perché sa come dirlo: potere all’immagine, oltre che al dialogo. Cinema che si fa vedere mentre ci guarda. Prezioso.
Fabrizio Tassi (Cineforum)
Afferrare l'istante irripetibile, o anche solo accarezzarlo per un attimo, quel momento in cui appare la verità invisibile di un'emozione, di un uomo. Il tempo interiore della tenerezza e quello della paura, la malinconia, che qui è dolce e là amarissima, la gioia fugace, la dolorosa coscienza del limite, dell'errore (anche dell'orrore).
Ecco cosa ci regala Gianni Amelio in questo film potente – delicato e crudele insieme – così lucido che fa quasi male, pieno di amore (l'amore sta nella fragilità dei personaggi, nell'autenticità degli interpreti, nella regia rigorosa senza mai essere arida). Non l'aneddoto psicologico o l'affresco sociale, ma la realtà mutevole e misteriosa dei sentimenti. Non la cronaca, ma l'attualità di un “tempo della fine”, la vecchiaia, che può sempre diventare un nuovo inizio, e che qui sembra quasi la metafora di tutta un'epoca (la nostra), stanca, torbida, disincantata, tormentata da un malessere che si respira nell'aria, ansiosamente alla ricerca di un senso e una speranza di felicità. Di una qualche tenerezza.
Arianna Finos (La Repubblica)
Intervista a Gianni Amelio:
Cos’è per lei la tenerezza? “La capacità di tenersi la mano senza nessun altro scopo. Oggi è difficile avere un contatto fisico con i figli piccoli, figurarsi quelli adulti: il mio ha quarant’anni, è padre a sua volta. Mia nipote ha 13 anni, toccarle un braccio è già difficile, figurarsi prenderle a mano. Invece tutti avremmo bisogno di un gesto così, che non è solo una mano che tocca l’altra mano, ma è un’anima che tocca un’altra anima. Che ti dice: sono vicino a certi tuoi sperdimenti, quando certe mattine ti alzi e pensi 'stamani non sono proprio con i piedi per terra. Quella tenerezza che ti aiuta quando brancoli ma che non ti trasforma in qualcosa che ti disturba e ti toglie la libertà. Lorenzo ha un bisogno assoluto di un libertà di cui forse non sa nemmeno cosa farsi, perché scopre con rammarico di non essere giusto nella sua pelle. L’unico rapporto che cerca è con il nipotino, che rapisce da scuola alle dieci del mattino. La figlia è paziente, il figlio indifferente, il nipote è l’unico che ha il suo stesso carattere polemico. Così Lorenzo spende il tempo con qualcuno a cui si illude di insegnare delle cose”.
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GIANNI AMELI
San Pietro Magisano, Catanzaro, 20 gennaio 1945
Assistente di Vittorio De Seta, ha esordito come regista negli anni 70 con alcuni film per la televisione. Al cinema debutta con ‘Colpire al cuore’ (1982). I film successivi, ‘I ragazzi di via Panisperna’ (1988), ‘Porte aperte’ (1990, nomination agli Oscar), ‘Il ladro di bambini’ (1992, Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes), mettono in luce una particolare attenzione alla Storia, ai temi del lavoro, e al rapporto tra le generazioni, che sarà quasi una costante nella sua attività a venire. Nel 1994 dirige ‘Lamerica’, interamente ambientato nell'Albania post-comunista, in cui conferma uno stile di forte impatto realistico, ma aperto a una visione epica, con influenze sapientemente assorbite dal cinema italiano classico. Con il successivo ‘Così ridevano’ (1998, Leone d’oro a Venezia) intreccia esperienza pubblica e memoria personale rappresentando l'emigrazione interna dal sud al nord dell'Italia negli anni 50. Nel 2004 Amelio dirige ‘Le chiavi di casa’, storia del rapporto tra un giovane padre e un figlio disabile. In seguito realizza ‘La stella che non c'è’ (2006, storia di un operaio italiano che va da Shanghai in Mongolia cercando un pezzo della sua fabbrica comprata dai cinesi) e nel 2010 affronta in Algeria la memoria dell'infanzia di Camus, come il grande scrittore l'aveva narrata nel suo libro incompiuto ‘Il primo uomo’ (il film vince il premio della critica al Festival di Toronto). Del 2013 è ‘L'intrepido’.
Amelio ha diretto per quattro anni il Torino Film Festival, insegna al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma ed è l'unico regista italiano vincitore per tre volte del premio EFA, l’Oscar del cinema europeo.
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