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Lunedì 6 Aprile Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
SE LA STRADA POTESSE PARLARE
If Beale Street Could Talk
(USA 2018) di Barry Jenkins – dur. 120'
Con KiKi Layne, Stephan James, Regina King, Teyonah Parris, Colman Domingo Ethan Barrett
Anni ‘70, quartiere di Harlem. Un amore tra due giovani si trasforma in un incubo quando lui viene accusato ingiustamente di stupro da un poliziotto razzista e far vincere la verità appare un'impresa sempre più difficile e costosa.
Premi:
Vincitore di 93 premi internazionali più altre 170 candidature, tra i quali 1 Premio Oscar (Attrice non protagonista) più altre 2 candidature, 1 Golden Globe (Attrice non protagonista) più un’altra candidatura, 1 candidatura ai Bafta.
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Così la critica:
Mariana Cappi (My Movies)
Dopo aver vinto l'Oscar con “Moonlight”, Barry Jenkins porta sullo schermo uno dei libri più noti e apprezzati di James Baldwin, "If Beale Street Could Talk". Un romanzo scritto dopo gli assassinii di Malcolm X e Martin Luther King e dunque intriso di tutta la disillusione e la rabbia che quel momento storico poteva ispirare nella comunità afroamericana e non solo, eppure un romanzo pieno di amore. Jenkins sullo schermo prova a fare lo stesso, mescolando due piani temporali vicini tra loro ma lontani per temperatura emotiva, per raccontare tanto la passione giovanile e la voglia di futuro quanto l'ingiustizia di far parte di una parte di popolazione spinta in ogni modo a vivere nella paura. (…) Impossibile non restare ammirati dalla voce del colore, ardente, e dalla cura posta nella caratterizzazione dei personaggi, dalla fisicità timida e particolare di Tish, alla forza della madre (l'attrice Regina King) e della sorella Ernestine, di cui si lascia intravedere la complessità con il minimo delle pennellate. Che conquisti o meno, il suo è uno statuto: la bellezza delle immagini contro le brutture del mondo.
Fabio Ferzetti (L'Espresso)
Bisognerà abituarsi. Per decenni abbiamo associato ai film afroamericani parole come rabbia, ingiustizia, violenza. E non c'era musica, danza o bellezza che tenesse: dalla blaxploitation a Spike Lee, il negativo impregnava l'estetica, almeno quanto il jazz, il rap o l'hip hop. La musica è cambiata. I nuovi registi afroamericani vogliono speranza e armonia.
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BARRY JENKINS
Miami, (Florida, USA), 1979
"La mia adolescenza in solitudine mi ha lasciato la voglia di osservare le persone anche nei piccoli gesti di intimità" (Jenkins, 2018). Sceneggiatore e regista, nel 2015 è stato incluso dal New York Times tra i 20 registi più interessanti del cinema mondiale. Dopo aver completato studi in regia e scrittura creativa alla Florida State University, si stabilisce a Los Angeles dove lavora come assistente alla regia e dirige alcuni cortometraggi. Nel 2008 esordisce nel lungo con 'Medicine for Melancholy', una storia d'amore raccontata attraverso i ricordi di due ventenni afroamericani che si confrontano su questioni di classe, di identità e su cosa significhi appartenere a una minoranza etnica a San Francisco. Nel 2016 realizza l'affresco di emancipazione 'Moonlight'. Ambientato in una delle aree più depresse di Miami, è il "racconto dell'educazione alla vita e all'affettività di un ragazzo nero" (Mereghetti). Premiato in ogni occasione, dai sei Free Spirit Awards (i premi del cinema indipendente americano) ai tre Oscar. 'Se la strada potesse parlare' è il suo terzo lungometraggio.
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