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Lunedì 24 Febbraio Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
TRE VOLTI
Se rokhe
(Iran 2018) di Jafar P danahi – dur. 102'
Con Behnaz Jafari, Jafar Panahi, Marziyeh Rezaei, Maedeh Erteghaei, Narges Delaram.
Una celebre attrice parte alla ricerca di una ragazza che chiede aiuto tramite un video.
Premi:
Vincitore di 3 premi internazionali più altre 6 candidature, tra i quali la Migliore sceneggiatura al Festival di Cannes.
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Così la critica:
Emiliano Morreale (La Repubblica)
Molto atteso il film di Jafar Panahi, realizzato clandestinamente contro il divieto che gli è stato imposto dal regime di Teheran. È un apologo in linea con la lezione del maestro Kiarostami e del suo interrogarsi sul senso e i limiti della rappresentazione. Un video sul telefonino mostra una ragazzina che, disperata perché la famiglia l'ha data in sposa impedendole la carriera di attrice, e lamentando di non aver ricevuto risposta ai suoi appelli all'attrice Behnaz Jafari, si uccide. Ma il filmato non è chiaro, e Jafari (che interpreta sé stessa nel film) lascia il set per scoprire se si tratta di un video autentico o di uno scherzo. Accanto a lei, al volante, Panahi stesso, che fa da spalla e da interprete ai vari incontri, in un paesino al confine con la Turchia. In maniera lineare e con toni da disincantata commedia, Panahi intavola una parabola che è una metafora della reclusione (anche della propria) e anche, a pensarci bene, una satira del maschilismo.
Marzia Gandolfi (Mymovies)
Opera illegale, “Three Faces” è una formidabile cassa di risonanza politica, una piazza itinerante ma soprattutto un viaggio introspettivo. Sotto una sarabanda di incontri sovente divertenti, qualche altra sconcertanti o poetici, il film è un autoritratto dell'artista al volante. Rivelatrice in questo senso è la forma, frammenti di realtà rubati dalla camera nascosta si alternano a scene di finzione. Alla maniera di “Taxi Teheran”, “Three Faces” si muove lungo i confini, occupando uno spazio confuso in cui ogni passeggero o pellegrino interpreta il proprio ruolo. Ma attraverso ciascuno di loro, è il suo posto da regista, testimone e creatore che Panahi mette in discussione.
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Jafar Panah
Mianeh (Iran), 1960
Panahi è uno dei più famosi registi iraniani della generazione che ha contribuito al lancio internazionale di questa cinematografia a cavallo degli anni Novanta. "Tra realismo e metafore, si rimane sempre ammirati di fronte ai film di Panahi. Per il fascino e l'intelligenza, ma anche per la determinazione e la perseveranza con cui non si arrende di fronte alla condanna subita, deciso caparbiamente a continuare quello che non è più solo una professione ma assume i contorni di una specie di missione. Il cui compito è sempre di più ribadire l'importanza del cinema e la sua funzione maieutica" (Mereghetti, CdSera, 2018). I suoi primi lungometraggi non passano inosservati: ‘Il palloncino bianco’ (1995) vince il prestigioso premio Camera d’Or al Festival di Cannes; ‘Lo specchio’ (1997) si aggiudica il Pardo d’argento a Locarno; ‘Il cerchio’ (2000) è Leone d’oro a Venezia. Nel marzo 2010 viene arrestato per la partecipazione ai movimenti di protesta contro il regime iraniano. È rilasciato su cauzione in seguito alla mobilitazione internazionale. A dicembre viene condannato a 6 anni di reclusione; gli viene inoltre preclusa la possibilità di dirigere, scrivere e produrre film, viaggiare e rilasciare interviste sia all'estero che all'interno dell'Iran per 20 anni. Panahi aggira il divieto in modi sempre più ingegnosi: per esempio, si fa filmare mentre, con la tenacia di una passione incancellabile, racconta il film che avrebbe voluto girare (‘Questo non è un film’, 2011)..
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