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Lunedì 15 marzo In collaborazione col D.A.M.S.
Ore 16.15 - 20.15
I QUATTROCENTO COLPI
(Francia 1959) di Francois Truffaut dur. 93'
con Jean-Pierre Leaud, Albert Remy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Jeanne Moreau, Jacques Demy, Francois Truffaut, Jean-Claude Brialy
Circondato da un ambiente ostile, figlio indesiderato e studente incompreso, Antoine Doinel (Leaud) si difende come può: marina la scuola, racconta bugie, compie qualche furto. Insieme all'amico Renè (Auffay) ruba una macchina da scrivere per procurarsi il denaro necessario per una gita al mare. Pizzicato, finisce in riformatorio, ma riesce a fuggire.
Premi:
Vincitore di 6 premi internazionali (+4 nominations) tra cui la nominations all’Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale, Miglior Regia e Premio Ocic al Festival di Cannes
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Così la critica:
Paolo Mereghetti (Dizionario dei film):
Primo lungometraggio di Truffaut, allora polemico critico cinematografico dei “Cahiers du Cinéma” e di “Arts”, e primo capitolo del ciclo di Antoine Doinel (seguiranno “L'amore a vent'anni”, “Baci rubati”, ”Non drammatizziamo... è solo questione di corna”, ”L'amore in fuga”). Costruito di proposito su alcuni spunti autobiografici e interpretati dall’attore che da questo momento diventerà una sorta di alter ego del regista, “I quattrocento colpi” è una delle opere più significative della Nouvelle Vague e ancora oggi colpisce per la sua autenticità e la sua freschezza, frutto di un magico equilibrio tra improvvisazione e rigore, realismo e rielaborazione astratta. Un poema sulla solitudine di un adolescente come tanti, dal taglio cronachistico e privo dei consueti stereotipi melo: attraverso una regia semidocumentaristica, che abolisce l'uso della soggettiva ma prevede il protagonista in ogni inquadratura. Truffaut con molto affetto descrive, interroga, suggerisce, emoziona. E come sempre nelle sue opere, i libri e il cinema sono le uniche vere possibilità di salvezza per i piccoli Antoine cresciuti senza amore. Molte le sequenze indimenticabili (tra le quali il colloquio con la psicologa) e uno dei finali più belli della storia del cinema. Il titolo originale “Les 400 coups”, ovvero “I quattrocento colpi”, significa “fare il diavolo a quattro”.
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TRUFFAUT, François Parigi (Francia), 1932 1984
Romantico, come uno dei suoi maestri (Jean Renoir), segnato da un’infanzia e un’adolescenza infelici (genitori distratti, scuole riflessive), cinefilo per ribellione, critico fine e appassionato, vince a sorpresa un premio al festival di Cannes con “I 400 colpi”. Con i film successivi divaga al modo dei generi hollywoodiani (“Tirate sul pianista”, 1960), si china sulle pene d’amor perduto (“Jules e Jim”, 1961), si avvicina al giallo con una famosa e lunga intervista a Hitchcock e con tre film (“La calda amante”, “La sposa in nero”, “La mia droga si chiama Julie”). Umanista, non solo romantico, perora commosso la causa della cultura (“Fahrenheit 451”, 1966), si abbandona alla dolcezza della rinuncia all’amore (“Le due inglesi”, 1971), s’immedesima nei travagli della infelice figlia di Victor Hugo (“Adele H., una storia d’amore”, 1975) e finalmente riversa tutto se stesso in un film-cardine perfettamente calibrato (“Effetto notte”, 1973). Se l’umor nero gli ispira il funereo “La camera verde” (1978), l’empito romantico gli suggerisce “La signora della porta accanto” (1981) e “L’ultimo metro” (1980), mentre l’ironia presiede all’ennesima rivisitazione hitchcockiana del giallo (“Finalmente domenica”, 1982). (tratto da Cento grandi registi, di F. Di Giammatteo).
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