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Lunedì 12 aprile In collaborazione col D.A.M.S.
FINO ALL'ULTIMO RESPIRO
(Francia 1960) di Jean-Luc Godard, dur. 87'
con Jean Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger Vital, Jean Pierre Melville, Liliane Robin, Van Doude
Michel Poiccard (Belmondo) è un banditello marsigliese che, alla guida di un'auto rubata, sta dirigendosi verso Parigi in una splendida giornata di sole. Inseguito dalla polizia per una banale infrazione, uccide un poliziotto usando il revolver con cui ha giocherellato durante il viaggio. Inizia una fuga che continuerà per tutto il film, dapprima attraverso i campi, poi a Parigi dove, nonostante tutto, si reca per incassare una somma di denaro e per ritrovare una donna, Patricia...
Premi:
Vincitore di 3 premi internazionali (+2 nominations) tra cui l’Orso d’Argento per la Miglior Regia al Festival di Berlino
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Così la critica:
Fernaldo Di Giammatteo (Dizionario dei capolavori del cinema):
Con questa opera prima Godard inizia il suo personale discorso sulla Nouvelle Vague muovendosi tra i codici del cinema nero americano e, come lui stesso ha dichiarato in una intervista, di “Alice nel paese delle meraviglie”. Cioè una favola che però è anche un discorso sul linguaggio. E tutto il film è in realtà un “saggio” sul linguaggio cinematografico, la cui sintassi deve essere scardinata per lasciar posto ad una spontaneità delle azioni e delle situazioni, conseguenza della libertà che regola le riprese non più affidate al ferreo palinsesto della sceneggiatura. Esiste qui ancora una narrazione, una “storia” che però tenta in ogni momento di dimenticare se stessa per dare spazio alla casualità. Come ogni militante della Novelle Vague, anche Godard è un cinefilo e trasferisce nell'opera la sua cultura cinematografica, operandone da un lato una reiterata trasgressione (...) e dall'altro mitizzandola nella citazione: dal riferimento ad H. Bogart localizzato nel personaggio Poiccard, alla ripresa del cinema francese anni '30 (...), dagli inserti di manifesti, di riviste di cinema (la copertina dei “Cahiers”), alle allusioni a registi nel corso dei dialoghi, o comunque al mondo del cinema (...), fino all'impiego di procedimenti tecnici ormai in disuso come il mascherino a iris che conclude la sequenza di Michel davanti al manifesto di Bogart. Con Godard la macchina da presa scende per le strade e l’operatore Raoul Coutard cerca nuovi modi di illuminazione per la Parigi degli anni ‘60, quella della “rive droite”, intellettuale e indaffarata, casual come la voleva il regista.
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GODARD, Jean-Luc Parigi (Francia), 1930
Nasce ricco, è mandato a Nyon per frequentare le superiori, frequenta l’Università (Etnologia) ma non studia. Il padre gli taglia i fondi e per vivere è costretto ad arrangiarsi. Collabora con i Cahiers du Cinéma e passa le giornate con Rohmer, Rivette, Bazin, Chabrol e Truffaut, la futura spina dorsale della Nouvelle Vague. Godard è fra i cineasti che hanno maggiormente affascinato, provocato e turbato. Dopo “Fino all'ultimo respiro” (1960), che sconvolse le convenzioni narrative e formali del cinema tradizionale, il regista non ha mai smesso di ampliare i confini dell'espressione cinematografica nel corso di una carriera che prosegue da più di quarant'anni. Tra successi di pubblico e di critica (“Il disprezzo”, 1963), giudizi politici lungimiranti (girato nel 1967, “La cinese” prefigura il Maggio '68), e scandali veri e propri (“Je vous salue Marie”, 1985), ha esplorato le diverse facce di un'arte che lo affascina, mirando sempre all'introspezione (“JLG/JLG”, 1995). Oggi, l'influsso di Jean-Luc Godard su tanti giovani cineasti sparsi in tutto il mondo non accenna a diminuire e la creatività appare intatta.
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