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Lunedì 2 Mazo Grandi registi internazionali
IL MATRIMONIO DI LORNA (Belgio, 2008) di Jean Pierre e Luc Dardenne dur. 106’
con Arta Dobroshi, Jeremie Renier, Fabrizio Rongione.
Lorna è una giovane albanese che sembra pronta a tutto per i soldi. Legata al malavitoso Fabio, prima ha accettato un matrimonio bianco con il tossico Claudy, poi si prepara a passare a un mafioso russo che la vuole sposare per ottenere la cittadinanza belga. Apparentemente cinica, la ragazza si scontrerà però con la forza dell’amore, il vuoto della morte e la pesantezza del senso di colpa.
Premi:
Premio Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2008
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Così la critica:
Roberto Nepoti (La Repubblica):
Poche volte abbiamo visto rappresentare con tanta forza sullo schermo la tragedia dell’immigrazione, il traffico di corpi e identità, la nuova schiavitù che coinvolge tanta vittime e tanti carnefici in uno dei peggiori inferni del mondo globalizzato. Due volte vincitori della Palma d’Oro (per Rosetta e L’Enfant) quest’anno i Dardenne hanno incassato “solo” il premio per la sceneggiatura a Cannes. Va subito detto, però, che Il matrimonio di Lorna è un film molto vicino al capolavoro: forse meno compatto e conchiuso dei precedenti, ma perché segna una fase di passaggio nello stile dei due fratelli valloni. Se da una parte, infatti, i cineasti continuano a pedinare gli attori con una serie di semi-soggetive che ti fanno entrare nella loro pelle (la vicenda di Lorna è una Via Crucis che lo spettatore patisce insieme a lei), dall’altra la macchina da presa continua a staccarsene, a prendere le distanze tramite inquadrature meno mobili, abitate da più personaggi. Contemporaneamente i Dardenne ricorrono al “taglio” anche brusco di alcuni avvenimenti, che è compito dello spettatore intuire. Ancora una volta ci raccontano una storia di caduta e redenzione usando un linguaggio naturalistico degno del miglior neorealismo italiano per mettere in scena conflitti interiori e percorsi di crescita spirituale.
Lietta Tornabuoni (L’Espresso):
Nel bellissimo film degli straordinari registi belgi, eventi essenziali della vita (nascita, morte) vengono usati per compiere reati. Il denaro è ovunque: preso, versato, toccato, nascosto, desiderato, rifiutato, scambiato, in banconote simbolicamente sporche, stropicciate, maltrattate. Le leggi stabilite con civile impegno dall’autorità europea per salvaguardare i collettivi diritti umani, si mutano in occasioni delinquenziali. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo acquista nuove forme che ignorano il lavoro. I sogni d’una esistenza, le massime ambizioni, possono consistere nell’aprire un bar. I personaggi diventano i criminali più contemporanei ma, secondo gli autori, non sono mai senza speranza etica: la ragazza, dura di carattere e gesti, approda a un rimorso, una fuga dal male.
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DARDENNE Jean-Pierre Awirs (Belgio), 1951
DARDENNE Luc Engis (Belgio), 1954
“Mostrare la realtà senza mai giudicarla. Piuttosto mettendola in scena con un rigore assoluto, bressoniano, con uno sguardo entomologico su ciò che ci circonda. I Dardenne si impongono per un cinema che affronta la crisi sociale, le sue urgenze e i suoi drammi lasciandosi alle spalle tutte le sovrastrutture di tipo post-marxista che influenza o sono alla radice del cosiddetto cinema di impegno. Al pari di due entomologi registrano i fatti del reale senza orpelli, senza aggiungere nulla, incollati ai loro sfortunati protagonisti. Ai Dardenne è sufficiente la forza di ciò che si mette in scena per creare denuncia, anche la più scomoda, la più dura e intransigente” (Termenini, Cineforum). Luc e Jean-Pierre Dardenne fondano nel 1975 la casa di produzione Dérives. Entrambi impiegati per enti statali, non hanno mai smesso di occuparsi di cinema insieme, dai primi documentari alle successive regie cinematografiche: ‘La promesse’, ‘Rosetta’ (1999, Palma d’oro a Cannes), ‘Il figlio’ (2002), 'L'enfant' (2004, Palma d'oro a Cannes).
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