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Lunedì 19 Novembre Registi europei
IL GRANDE CAPO
(Direktøren for det hele) di Lars Von Trier, dur. 99',Danimarca, Svezia 2006
con Jens Albinus, Jean Marc Barr, Peter Gantzler, Fridrik Thor Fridriksson
Il dirigente di una piccola azienda danese, incapace di svolgere il suo ruolo di potere, assolda un attore di teatro per interpretare il grande capo che da dieci anni dirige le sorti della ditta senza mostrarsi. L’infiltrato, che agisce sotto copertura, dovrà affrontare l’ostilità degli impiegati in odore di licenziamento.
6 nominations a premi internazionali.
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Così la critica:
Lietta Tornabuoni (L’ Espresso):
“Perché non si possono mescolare la commedia e la farsa con il cinema d’autore?”
proclama Von Trier nelle prime immagini. Dichiarazione d’intenti cui tiene fede, visto che dopo aver compiuto cinquant’anni ha deciso di lavorare nella leggerezza. Tra brectismo e psicoterapia, non senza riflessione sull’arte della finzione di cinema e teatro, Lars infligge delle vere e proprie pugnalate alla vita d’ufficio e ai meccanismi del moderno management. Il gioco è di complessa levità e Von trier si gode persino l’autocitazione ironica, affidata a un personaggio: <<la vita è come un film Dogma, non si sente quasi niente, ma le parole contano>>.
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Emanuela Martini (Film TV):
Lars Von Trier è un talento inquieto, molto consapevole (e tristemente) delle attuali mutazioni del cinema, e perciò alla ricerca costante di formule, strade, trucchi che non lo facciano invecchiare. Il grande capo in questo senso è anche un atto di coraggio: un film girato in due interni, con un “direttore della fotografia” computerizzato (Automavision) e con un cast “all Danish” (perciò sconosciuto al di fuori dei paesi scandinavi). Ma è soprattutto una commedia molto divertente sugli equivoci, sugli inganni, i soprusi, le tensioni di un’azienda, sull’odiata Islanda (ricca e buzzurra) e la decadente Danimarca, sul teatro, sul cinema e sui personaggi che tutti (non solo l’attore protagonista) siamo costretti a impersonare giorno dopo giorno e che, giorno dopo giorno, divorano la nostra autentica personalità. Gli interpreti sono straordinari, i dialoghi in punta di penna, laconici, surreali.
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VON TRIER Lars - Copenaghen, Danimarca, 1956
Lars von Trier è uno sperimentatore e forse un provocatore, un regista che scrive velocemente le sue sceneggiature e che si prefigge obiettivi ben precisi da raggiungere. Si è nutrito di cinema americano, ma non ama andare al cinema. Un regista che ha cambiato le regole del fare cinema. La prima volta che in Italia si sente parlare di Lars Von Trier è nel 1984 per “L’elemento del crimine”. Grazzini (CdSera) saluta “un carneade ventottenne che già con questo esordio si acquista un posto di prima fila nella nuova generazione di cineasti”. Anche i successivi “Epidemic”, “Medea” ed “Europa” (“un film diverso da tutti”) raccolgono consensi. A partire da “Le onde del destino” (1996, “un lungo, formidabile, visionario delirio mistico-sessuale”) Von Trier si fa conoscere anche dal pubblico italiano. Realizza quindi “Dancer in the dark”, “Dogville” (2003, “un'ulteriore ed esplicita dichiarazione, romantica e beffarda, sulla falsità, sulla sfrontatezza, sull'immoralità del cinema. E sulla necessità di continuare a far cinema per trovare alla fine, oltre quelle montagne di atroci bugie, qualche attimo di verità”) e “Manderlay”.
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