Così la critica:
Mariuccia Ciotta (Film TV)
Il disegno è al centro di Josep, esordio nel lungo dell'illustratore francese Aurel, omaggio a Josep Bartolí, catalano, autore di un diario per immagini realizzato nel campo di concentramento francese e poi in quello nazista di Dachau. Josep, selezionato a Cannes 2020, racconta la prima tappa dell'odissea dell'artista, combattente contro la Spagna di Franco e finito nel 1939 in un fangoso centro di raccolta per 500 mila rifugiati spagnoli, forse quello di Argelèssur-Mer, aperto dal governo socialista francese di Marx Dormoy. Aurel inanella “vignette” quasi immobili, le fa fluttuare, gioca sul bianco e nero e il colore, alterna i suoi disegni stilizzati alla Tintin con i veri schizzi intensi, feroci e tragici di Bartolí. Suoni e musica (Silvia Pérez Cruz, premiata) sostituiscono il movimento. Con lo sceneggiatore di Guédiguian, JeanLouis Milesi, il regista segue la strada del film d’animazione “documentario”, una dura requisitoria contro il trattamento riservato agli antifascisti spagnoli. Ma se il profilmico nel cinema live action è il segno di una realtà rappresentata, nel film d’animazione l’assenza dell’oggetto di riferimento rende ogni fotogramma un assoluto, una verità di per sé. Onnipotenza dell’immagine. Josep guarda in cielo nuvole mistiche in cerca dell’anima quando il gendarme amico Serge (voce narrante) gli chiede «sei un anarchico?». No, non lo è, e il nostro eroe non può neppure confessare l’appartenenza al Partito operaio di unificazione marxista. Enzo Ungari scriveva che «la forma più pura del documentario... è il cartone animato». Perché documenta la finzione, non può mai ingannare sulla sua veridicità.
Simone Soranna (Cineforum)
Josep è più simile a uno storyboard animato che a un film di animazione. Ogni singola inquadratura (basata sul concetto della linea, un tratto sottile ma evidente mirato a separare due mondi, due uomini, due generazioni) diventa materia pulsante, grondante di Storia e di storie. È la vignetta di un fumetto priva di movimento che sarà lo spettatore a dover unire in un montaggio fluido e personale. Al di là della guerra, al di là dello strazio fisico e psicologico cui il film ci pone innanzi, al di là dell’importanza storica e del valore documentaristico, Josep esalta la necessità di continuare ad alimentare un ponte tra passato e presente, un legame che coltivato giorno dopo giorno da tutte le generazioni in gioco (non è un caso che lo sceneggiatore del film sia Jean-Louis Milesi, fidato collaboratore di Robert Guédiguian). Un gesto di primaria importanza se non si vuole finire nell’oblio che accoglie il protagonista nei primi minuti del film quando, senza il suo passato, rischia di perdere la sua identità.
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