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TONY MANERO
Un film di Pablo Larrain - dur 98', Cile, Brasile 2008
Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete.

Toglietemi tutto ma non il mio ballo
Toglietemi tutto ma non il mio ballo. Se fosse uno spot pubblicitario si potrebbe riassumere così lo slogan alla base di Tony Manero, film del regista cileno Pablo Larraìn fresco vincitore dell’ultima edizione del Torino Film Festival. Il film, arrivato nella capitale sabauda dopo aver ottenuto riconoscimenti a Cannes e in altre importanti “piazze” internazionali, riesce nella difficile impresa di far convivere l’ironia nerissima, un personaggio assolutamente folle ma al tempo stesso razionale e una lucida fotografia della vita nel Cile del 1978. La trama così come viene raccontata nel pressbook ufficiale della pellicola: Raúl Peralta (splendidamente interpretato da Alfredo Castro, anch’egli vincitore a Torino come miglior attore), un uomo non più giovane, è ossessionato dall’idea di impersonare il protagonista di un recente film americano che sta spopolando nelle sale di un paese già da molti anni governato dal generale Augusto Pinochet.

Si tratta del Tony Manero di Saturday Night Fever, ovvero La febbre del sabato sera, il ballerino rubacuori impersonato sul grande schermo dall’attore italo-americano John Travolta. Raúl, assieme ad un piccolo gruppo di ballerini sul retro di uno scalcinato bar di periferia, praticamente ogni giorno, si esercita sui passi da discomusic del suo idolo. Quando un famoso programma televisivo, trasmesso sul canale nazionale, annuncia un concorso per trovare alcuni sosia di Tony Manero cileni il suo sogno sembra a portata di mano. Il febbrile tentativo di raggiungere la ribalta televisiva non si ferma praticamente davanti a niente e a nessuno. In un’intervista lo stesso regista sintetizza il suo film come la storia di un “un uomo ossessionato da cose a lui estranee sullo sfondo di un paese che sta attraversando il processo culturale che ha definito il nostro modo di vivere attuale e il modo in cui ci relazioniamo con il mondo”.

Il merito principale di questo film è proprio questo: essere una spietata rappresentazione del Cile sotto Pinochet, del clima di paura e di disagio che si viveva in quegli anni, degli inutili tentativi di un gruppo di “poveracci” che cercano di fare “qualcosa” per cambiare la situazione. Ma ad una visione superficiale della pellicola tutto ciò quasi non si coglie: il regista è stato bravissimo nel mettere tutto quanto nel sottotesto, raccontando la folle storia di un uomo e del suo assurdo sogno. Tony Manero (il personaggio di John Travolta) diventa quindi il simbolo del sogno americano, la storia di un uomo che dal nulla riesce a diventare un mito grazie alle sue capacità sulla pista da ballo: per arrivare agli stessi risultati Raùl Peralta è disposto a tutto, ma proprio a tutto. Furti, uccisioni senza alcuna pietà, soprusi nei confronti degli amici e delle fidanzate: il ballo (e il riconoscimento ufficiale della sua qualità) sono l’unico interesse.

Un film che a tratti ricorda per efferatezza e follia omicida quell’Henry - Pioggia di sangue tanto vituperato da Nanni Moretti in Caro Diario ma capace di ritrarre il delitto fine a se stesso, privo di qualunque movente che lo giustifichi, meglio di chiunque altro prima (e dopo). Così come in Henry, anche in questo la violenza arriva inattesa (almeno all’inizio) ed è incredibilmente capace - superato il primo impatto - di generare risate nerissime nel pubblico, che si sente quasi complice di quanto avviene sullo schermo tanto è il disinteresse per la sorte dei malcapitati... Peralta è un personaggio magnifico, con cui è impossibile identificarsi ma che è impossibile dimenticare: le sue coreografie, il suo rattoppato palco “retro-illuminato”, le sue storie di sesso (come possa attrarre così tanto le donne rimane un mistero, ma sicuramente c'entra il potere del ballo...) e il suo camminare guardingo per le strade di Santiago alla ricerca di qualcuno di cui approfittare rimarranno a lungo nell’immaginario di chi vorrà andare al cinema a vederne le gesta.

Qualche parola nel finale per la scelta del regista di adottare uno stile di ripresa molto sporco e movimentato, con la camera che non sta quasi mai ferma e l’inquadratura che perde spesso il fuoco: forse un po’ eccessivo, soprattutto perché dà l’idea di un qualcosa di troppo costruito a tavolino (l’esatto contrario, immaginiamo, di quanto voluto). Tony Manero è il secondo film di Larraìn, autore nel 2006 di Fuga, in cui ha lavorato anche Castro, pluripremiato attore teatrale e cinematografico cileno.
Carlo Griseri (www.cineboom.it)
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