"LE MELE DI ADAMO": LA RICETTA SEGRETA
In un opuscoletto greco, intitolato Sulle arie, le acque, e i luoghi attribuito convenzionalmente ad Ippocrate, il padre della scienza medica, si spiega che le caratteristiche fisiche e morali dei popoli sono determinate dalle condizioni climatiche e fisiche del loro ambiente naturale. Il determinismo ambientale, elaborato dalla medicina e dalla storiografia antiche, è teoria resistente, se persino nelle vicende cupe della cinematografia danese più recente (ma non solo, basta pensare ai drammi del Maestro Bergman) pare farsi vivo: famiglie corrose da tare di vario genere (Festen, L'eredità e la versione animata Terkel), sommerse in atmosfere plumbee, uno stile di regia severo, rigorosamente alieno da concessioni allo spettacolare, persino un manifesto, significativamente denominato Dogma '95, nel quale si teorizza un cinema specchio neutro della vita, riproduzione austera degli aspetti più ripugnanti di essa. Gli autori danesi, a cominciare dal più noto, Lars Von Trier, pur disobbedendo ai diktat contenuti in quel programma ormai considerato obsoleto, continuano a esserne in vario modo figli: neppure le favole di Andersen del resto sono molto solari e allora è naturale pensare agli influssi del cielo grigio del Nord Europa. Le mele di Adamo, il film di Jensen, terza opera di una trilogia dedicata ai rifiuti della società, candidato ufficiale della Danimarca all'Oscar 2006, non tradisce il genio nazionale: personaggi grotteschi, ruderi nel corpo e obesi, corvi sui rami, frutti bacati e alberi bruciati dal fulmine, medici disgustosi, letti di ospedale e sangue, bambini spastici, cancro al cervello e follia, fanatismo e pugni, suicidi e fanciulli violentati dai padri. Praticamente un campionario di fatali nefandezze sullo sfondo di una canonica di campagna dove un pastore protestante accoglie e tenta di recuperare un gruppo di derelitti apparentemente senza speranza, convinto delle bontà assoluta di un mondo retto da un Dio giustiziere che invia il male agli uomini per metterli alla prova. Lo scontro con uno dei suoi ospiti, un naziskin certo dell'assenza di un qualsiasi fine benevolo nella sofferenza provocata e subita, innesca la crisi. La pellicola si ispira alle tribolazione del personaggio biblico di Giobbe sarcasticamente attualizzate nel lungo elenco di disgrazie del religioso e raffigurate simbolicamente nell'albero di mele del cortile devastato dagli uccelli e dai lampi: Le mele di Adamo è una parabola etica il cui senso ultimo sta nella messa in ridicolo di ogni testo sacro e di ogni fanatismo di fronte all'imprevedibile e all'imponderabile che caratterizzano l'esistenza umana. Lanticonformismo agnostico del lungometraggio in fondo rispetta le convinzioni di tutti: gli accidenti provano le ragioni degli atei, i miracoli quelle dei credenti e l'uomo, ugualmente disarmato, si difende facendosi scudo di dottrine e ideologie falsamente risolutive. E' parte della fragilità umana l'illusione che tutto sia riconducibile alla logica o alla fede. Al capezzale del vecchio responsabile del campo di concentramento, agonizzante e tormentato dai rimorsi, il neo cultore di Hitler non trova nulla da dire ma intuisce che l'unica verità accessibile è la forza indispensabile ad ognuno per affrontare la morte e il dolore. Non c'è ricetta che sveli come a volte il sapore di una torta di mele sia indimenticabile.
Augusto Leone
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