un nuovo incantesimo da Ocelot
Da Kirikù e la strega Karabà ad Azur e Asmar sono passati 8 anni, e nel frattempo il nome di Michel Ocelot, autore di storie che hanno saputo incantare milioni di bambini, è diventato uno dei più noti e apprezzati dagli appassionati di animazione di tutto il mondo. Numerosi furono i meritati elogi per la prima avventura del piccolo Kirikù (meno, invece, ce ne furono per la deludente seconda parte delle sue storie, quella con gli animali selvaggi), tanti si spera saranno quelli per Azur e Asmar.
Lo sforzo iniziale per lo spettatore è sempre lo stesso: disabituare lo sguardo dalle animazioni sempre più verosimili ma anche sempre più simili tra loro che ormai imperversano sugli schermi (citando a caso, i vari Shrek, Nemo, Era Glaciale, gli Incredibili, Gang del bosco…) per tornare ad assaporare un film solo all’apparenza più “vecchio stile” ma decisamente più nutriente per occhi, spirito e mente. Dieci milioni di euro spesi, esordio assoluto di Ocelot nell’uso delle tecniche digitali (unico modo, a suo dire, per riuscire a realizzare il film interamente in Francia e non errando per diversi Paesi come nei suoi lavori precedenti), sei anni di lavoro: non sono di certo i dati di un film piccolo, o fatto con pochi mezzi. Basta entrare in sala per accorgersene: un’esplosione di colori che travolgerà chiunque affronterà quest'ora e mezza scarsa di grande cinema, un'intensità degli sguardi e dei paesaggi che non potrà che affascinare. Ocelot alla sua quarta pellicola, dopo le due storie di Kirikù e Principi e Principesse con quest’ultima prova ha vinto il Premio Unicef nella sezione “Alice nella città” alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Realizzato dallo stesso team artefice di Kirikù, il film si ispira alle atmosfere de Le Mille e una notte ma è tratto da una fiaba inventata che mischia elementi della tradizione con altri di pura fantasia. Azur e Asmar sono due bimbi che crescono insieme. Il primo, biondo e occidentale, è nutrito ed educato dalla sua nutrice, mamma del secondo, musulmano e di colore. Quando Azur cresce, il padre lo manda lontano da casa per studiare e licenzia in tronco la nutrice. Diventato grande, il ragazzo parte alla volta del Paese di oltremare, luogo d’origine del suo fratello “di latte” e patria della fata dei Djinns, protagonista di mille storie che la mamma-nutrice raccontava ogni sera ai due bimbi per farli stare bravi. L’obiettivo: trovare la fata, liberarla dal suo sortilegio e vivere con lei felice e contento, battendo sul tempo anche Asmar, il più temibile dei concorrenti. Nel suo cammino dovrà però affrontare mille peripezie: dalla superstizione altrui (gli occhi azzurri portano male!), all’ostilità dettata dall’ignoranza e dalla paura. Incontrerà personaggi bizzarri (su tutti Rospù, il prototipo della persona incapace di vedere la bellezza nella diversità) e saggi maestri (tra cui una principessa bambina davvero spassosa), per ritrovarsi infine con la “famiglia” da cui era stato allontanato.
Non si tratta di un film sulla tolleranza, sostiene il regista nelle conferenze di presentazione (“Non bisogna essere tolleranti per ammirare qualcosa di bello”, ha detto). Ma questo tema, che il regista sente da sempre molto vicino essendo un occidentale cresciuto nel Nord Africa, vittima e colpevole degli stessi pregiudizi, traspare da ogni singola scena. Azur e Asmar affronta temi impegnativi che non appesantiscono il cartone. “I bimbi capiscono al volo”, ripete spesso Ocelot, e la speranza è che i bimbi di oggi, diventando gli adulti di domani, ricordino i piccoli insegnamenti derivati da questa fiaba e che siano loro a sconfiggere il razzismo.
Carlo Griseri (www.cineboom.it)
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