Abbiamo intervistato Lunetta Savino nei camerini del Teatro Cavour, al termine della rappresentazione dello spettacolo "Casa di bambola - L'altra Nora", tratto da Henrik Ibsen, di cui è la protagonista.
Nata a Bari, Savino ha iniziato a recitare nel 1981 a teatro, ma nel corso della sua carriera si è divisa equamente tra i palchi, la televisione e il cinema. Per i suoi ruoli sul grande schermo ha ottenuto due nomination ai Nastri d’Argento e una ai David di Donatello come migliore attrice non protagonista.
Lei si sente più un’attrice teatrale o cinematografica?
Sicuramente più teatrale: sono partita di lì e quella è la mia vera passione, il motivo per cui faccio questo lavoro. Il cinema è un gioco nuovo, che ha tutt’altre regole ma anche un grande fascino. E poi dipende dal regista, dal personaggio, dal progetto, dal contesto dei compagni di lavoro, non è solo il mezzo in sé ma è anche quello che si racconta.
Lei è nota al grande pubblico soprattutto per la televisione (ha interpretato il ruolo di Cettina nella fiction “Un medico in famiglia”, NdR). La fama raggiunta con quel personaggio l’ha aiutata a prendere nuove strade oppure l’ha limitata perché a quel punto i produttori si aspettavano da lei un certo tipo di caratterizzazione?
Non saprei. Ho iniziato a fare televisione e cinema nello stesso periodo, quindi da questo punto di vista sono stata molto fortunata. Nello stesso tempo credo che i registi, se sono intelligenti, sappiano capire se un attore è versatile, se può fare più cose, più personaggi. Adesso, ad esempio, la televisione mi sta offrendo ruoli più drammatici, più forti…
Come ad esempio ne “Il figlio della luna” (la storia vera di Lucia Frisone e di suo figlio Fulvio, tetraplegico spastico dalla nascita ora fisico nucleare, NdR)…
Esatto, e anche in un film che ho fatto in estate (che sarà trasmesso quest’inverno): una storia vera di camorra, di una donna alla quale hanno incendiato il negozio. Quindi, per fortuna, registi e produttori hanno visto anche altre corde che mi appartengono completamente, corde che con il teatro riesco a utilizzare appieno.
Lei ha lavorato sul grande schermo con registi molto diversi tra loro, ad esempio Ferzan Ozpetek e Cristina Comencini… Come si è trovata con loro?
Con Cristina Comencini mi sono trovata molto bene (hanno girato insieme “Matrimoni” e “Liberate i pesci”, NdR), perché è una donna che ha grande mestiere e passione per il suo lavoro. Anche sul set di “Saturno contro” sono stata bene, lavorare con Ozpetek è stata una bella esperienza: entrambi amano gli attori, quando incontri registi come loro è sempre un piacere recitare.
Guardando al futuro, c’è un regista con il quale le piacerebbe lavorare?
Pedro Almodovar, se devo sognare! Ma anche Mike Leigh è un regista che amo molto, certo sono molto diversi… In Italia con Marco Tullio Giordana.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Attualmente sto girando la seconda serie di “Raccontami”, dedicata agli anni ’50. Poi vedremo, non lo so: riprendo questo spettacolo, e se arrivassero delle belle proposte si faranno, altrimenti si sta a casa che si sta bene!
Conosciamo meglio i suoi gusti. Qual è il film che porta nel cuore, quello che l’ha fatta appassionare al cinema?
Da spettatrice? “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini.
E il regista che più la colpisce?
Ce ne sono tanti, ma scelgo il primo Fellini, indubbiamente. Certo che anche Vittorio De Sica…
Ha un’attrice che l’ha ispirata come modello agli inizi?
Nei primi tempi era Monica Vitti, perché avevo in mente per me una carriera più comica e brillante. Ma poi le cose cambiano, man mano che vai avanti scopri delle attrici nuove, Meryl Streep ad esempio, Anna Magnani… In realtà sono come suggestioni, non è che prendi come esempio un attore: lo guardi lavorare e scopri delle cose, poi ne scopri altre vedendo un altro attore. E non deve essere per forza una donna, poi sei tu che metti insieme i pezzi del puzzle e costruisci un tuo stile. Io credo che un attore sia interessante quando è riconoscibile per un suo stile, per un suo talento originale.
Quello che colpisce nel suo modo di recitare è la capacità di passare dalla commedia a ruoli più seri con grande facilità.
E’ una cosa normale per un attore, purtroppo in Italia è poco comune, si propone a un attore sempre la stessa cosa. A me va abbastanza bene, nel panorama non mi posso lamentare. Per questo i miei riferimenti sono più verso attrici inglesi e americane.
Una parola, per concludere, sull’attuale panorama del cinema italiano.
È in movimento, ci sono molti registi nuovi e interessanti. Bisogna dar loro fiducia e mezzi, e soprattutto variare le storie. Si deve osare un po’ di più, uscire dal proprio guscio: Matteo Garrone (con cui ha lavorato in “Terra di mezzo”, NdR) e Ozpetek sono registi che fanno cose diverse. Io amo lavorare coi giovani, anche a teatro, li preferisco a persone di mestiere che non hanno più quella carica, quell’entusiasmo… perché io ce l’ho ancora!
Intervistatore Marco Frassinelli, Redattore Carlo Griseri
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