Intervista a Holly Gaiman
Ospite di Autunno Nero in questa edizione è stata Holly Gaiman, figlia di Neil, il celebre scrittore di libri e fumetti, nonchè sceneggiatore per il cinema. Neil Gaiman purtroppo per motivi di salute non ha potuto partecipare alla manifestazione ma Holly, nonostante la giovane età, è stata perfettamente in grado di sostituire il padre durante i vari incontri. L'abbiamo incontrata a Sanremo, al termine di una tavola rotonda sul tema "La zona del crepuscolo", e abbiamo approfittato ad intervistarla anche perchè, oltre ad essere fotografa ed assistente del padre, ha lavorato a numerose produzioni cinematografiche.
Sei stata assistente alla produzione nel film Stardust: in cosa è consistito il tuo lavoro? La definizione di assistente di produzione significa molte cose: nel mio caso ho fatto tutto ciò di cui c'era necessità, sia sul set che nell'ufficio di produzione. Come definizione è abbastanza vaga, alla fine io tutto il giorno non facevo altro che correre di qua e di là, anche perchè come assistente di produzione generale, e non ed esempio assistente di produzione degli effetti visivi o dei costumi, praticamente mi dovevo occupare di tutto. Questo "tutto" significava dal portare il pranzo a chi aveva fame sul set a girare con la telecamera: in quanto "figlia di mio padre" mi è stato dato l'incarico di riprendere gli estratti che poi avrebbero composto il video per il dvd.
Però ho lavorato anche in altri contesti sempre come assistente di produzione in altri reparti: per esempio nel prossimo film di James Bond (Quantum Of Solace, NdI) ho fatto l'assistente dei soli effetti visivi; in un'altra situazione ho fatto l'assistente del regista e mi occupavo di compilare lo scadenziario di tutte le riprese.
"Assistente di produzione" vuol dire fare molte cose!
Oltre a Stardust e a 007 Quantum of Solace, a quali altri film hai lavorato? Non ho lavorato continuativamente sui film, perchè ho il mio lavoro di fotografa e ho anche l'università, quindi si tratta più di una settimana qui, una settimana là.
Ho lavorato alla preproduzione di un film che si chiama "Nine", un musical dello stesso regista di Chicago (Rob Marshall, NdI); ho lavorato una settimana sul set di un film intitolato The Boat That Rocked di Richard Curtis, lo stesso regista di Notting Hill. Però tra l'università e tutto il resto non so se sono tagliata per questo lavoro: è estremamente impegnativo e non so se alla lunga continuerò in questo ruolo.
Quanto è stato coinvolto tuo padre nella produzione di film tratti da suoi romanzi o sceneggiature?
Il coinvolgimento di mio padre varia dal film e dal soggetto: quando vogliono trarre un film da una sua opera, cerca sempre delle persone in cui ha fiducia perchè in questo modo sa che saranno fedeli alla sua opera.
Però sa altrettanto bene che per avere a che fare con un mezzo come lo schermo la sua opera deve chiaramente essere adattata: nel caso di Coraline è venuto un paio di giorni a vedere cosa stesse succedendo, non si è presentato regolarmente.
Mentre invece per Stardust, siccome era anche produttore, ha avuto un ruolo più attivo, e questo in virtù del fatto che Matthew Vaughn e Jane Goldman erano alla loro prima sceneggiatura e quindi hanno chiesto spesso dei consigli per la stesura. Durante le riprese lui era presente circa una settimana al mese perchè in veste di produttore esecutivo il suo compito era anche di supervisionare, controllare che tutto andasse bene. Siccome papà ha un grosso potere di comunicativa e di richiamo, la produzione voleva accertarsi che il lavoro in corso a lui piacesse perchè, benchè diverso, era comunque un suo prodotto, un suo libro.
Cosa pensi della trasposizione delle opere di tuo padre? Mi piacciono, e soprattutto mi piace l'idea che vengano adattate. E' sempre affascinante vedere cosa gli altri fanno con queste sue opere. Mi piace anche l'atteggiamento che ha mio padre: le storie per tradizione hanno una trasmissione orale e lui è contento che le sue opere vengano trasmesse a prescindere dal mezzo con cui ciò accade. Alcune trasposizioni sono più felici di altre, ma mi piace comunque che siano opere adattate, per poi essere trasmesse tramite un altro mezzo.
Tu hai scelto la strada da fotografa e la fotografia è in un certo senso la fissazione del reale, questo non è l'opposto di quello che fa tuo padre che con la scrittura cerca di rappresentare l'irreale? Non sono d'accordo con questa definizione: sì, è vero, la fotografia è il ritratto della realtà però io poi con le mie mani queste immagini le posso modificare, le posso trasformare in bianco e nero, posso usare Photoshop. Sì, è vero, la fotografia è la rappresentazione della realtà, però può anche essere la rappresentazione della mia sensibilità più fantastica: per esempio, le persone che vogliono un book fotografico del loro matrimonio vogliono che per loro quel giorno sia il più bello in assoluto, vogliono ricordarlo così; e questo indipendentemente dal fatto che sia stato il più bello oppure no. Questo la fotografia consente di farlo: si ha quindi una rappresentazione della realtà che però puoi elevare a tuo piacimento.
Marco Frassinelli
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