INTERVISTA A XAVIER GENS
Regista di “The Divide”
Come è nato “The Divide”?
È stato un lungo processo iniziato con il soggetto per uno slasher ambientato in uno scantinato con otto personaggi. In questa prima stesura non era previsto che si vedesse l’esterno dell’edificio.
Successivamente ho parlato con i produttori perché volevo riscrivere il soggetto per inserire alcune tematiche personali. Insieme a Eron Sheen, uno sceneggiatore australiano, lavorammo per sei mesi a scrivere e riscrivere più volte il soggetto. Mantenemmo diversi dei personaggi iniziali ma cambiammo totalmente il plot. Poi siamo andati a Winnipeg in Canada per trovare la giusta location per il film. Quando finalmente eravamo pronti a girare ci furono dei problemi produttivi. Perdemmo i finanziamenti e il progetto rischiava di concludersi con un nulla di fatto. A quel punto un ragazzo della produzione disse: “Hei, non potete fermare il film, è il mio lavoro per la primavera! Chiamerò i miei genitori per chiedere di aiutarci con il finanziamento”… e trovò il denaro!
Come è nata l’idea di inserire il tema dell’11 settembre? Era già nello script originale?
No, non c’era. Come insegna l’Actors Studio è importante capire come caratterizzare un personaggio e da cosa sono causati i suoi conflitti. Così venne fuori l’idea dell’11 settembre per dare più realismo al personaggio di Michael Biehn. Il suo è un personaggio cruciale per la trama ed era interessante dipingerlo come uno dei sopravvissuti all’11 settembre. Nello script iniziale era solo un tipo che conservava robaccia nel suo rifugio, invece in questa maniera c'è una spiegazione per le sue azioni e questo porta nuove tematiche nel film.
Quanto è importante la location nell’economia del film?
Abbiamo lavorato in sintonia con il production designer Tony Noble. Abbiamo progettare a lungo di come organizzare il rifugio e lo scantinato. Ho visto molti scantinati a New York ma non me ne piaceva nessuno. Cercavamo di creare uno scantinato che potesse raccontarci qualcosa della storia. Una delle tematiche del film è il fascismo: come una micro società possa sfociare nel fascismo. Come esprimere questo con la messa in scena? Abbiamo studiato molti libri sull’arte tedesca e sul nazismo, abbiamo cercato di pensare come nazisti. L’ispirazione ci fu data da uno scantinato di Francoforte usato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale per tenere reclusi dei prigionieri. Le relazioni tra persone e location e tra un gruppo e l’altro sono state tra le principali fonti di ispirazione per creare la sensazione di prigionia e claustrofobia. L’immagine era simile ad una nave spaziale in cui i personaggi usano ogni stanza e ogni corridoio per relazionarsi o per spiarsi gli uni gli altri. Anche se ambientato in uno spazio chiuso “The Divide” è tutt’altro che un film statico, c’è molto movimento. Un altro aspetto che vorrei sottolineare è come i personaggi andando avanti col film tendano a retrocedere ad un stato primitivo. All’inizio c’è l’elettricità mentre alla fine fuoco e cenere. Questo si ripercuote anche sulla fotografia: all’inizio si hanno colori freddi come il blu, mentre alla fine dominano quelli caldi come il rosso e il giallo.
Cos’è successo fuori dall’edificio?
Quando i personaggi si rifugiano nello scantinato all’inizio non sanno cosa sta accadendo. Stanno lì insieme, aspettando per tutto il film una risposta senza sapere né cosa sta accadendo né perché. Quando appaiono gli scienziati militari i personaggi si aspettano che loro siano lì per salvarli, per salvare l’umanità ma, con loro sorpresa, portano via la bambina. Per l’economia del film è fondamentale che i personaggi ignorino le ragioni di tutto questo. Anche a noi quindi è celata la verità. Io ovviamente ho una mia interpretazione ma non la dico, preferisco che ciascuno possa darsi una propria interpretazione.
Marco Frassinelli
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