Un taxi che si chiama desiderio.
Ovvero quattro chiacchiere coi “Fratelli Coen de Sanremo”
La stagione del Cineforum 2008-2009 apre i battenti allo spazio Calvino del Dams di Imperia con Taxi: cortometraggio diretto e prodotto dai Fratelli Marco e Riccardo Di Gerlando, due gemelli sanremesi con il pallino del cinema. Giochiamo in casa e facciamo subito partire una raffica di domande a cui loro con grande disponibilità e ironia rispondono.
Allora ragazzi, siete gemelli e laureati al Dams ma avete dato tutti gli esami regolarmente o avete ciurlato nel manico giocando sulla somiglianza fisica?
Non ci siamo mai scambiati in quanto non ci avrebbe guadagnato nessuno... però potevamo farlo.. tanto non se ne sarebbe accorto nessuno!!!
Vi siete ispirati a un fumetto di Dylan Dog, quali sono le principali differenze tra la striscia e il corto?
Le differenze tra il fumetto e il corto sono parecchie. Per prima cosa la scelta obbligata di cambiare il protagonista. Inizialmente volevamo essere fedeli al personaggio di Dylan Dog, tuttavia la casa editrice ci ha negato l'utilizzo dell'immagine e quindi ne abbiamo ricreato un personaggio affine soprattutto al suo creatore, Tiziano Sclavi. Il protagonista è un giornalista con spiccate doti verso il paranormale, vive in luoghi tetri e scrive con una vecchia macchina da scrivere (Sclavi è proprio così). Nel fumetto poi, i fantasmi non lasciano nessun oggetto nelle loro lapidi mentre nel corto ognuno lascia un elemento preciso. Questo per rappresentare fortemente un attaccamento e quasi un rimpianto della vita ormai persa.
Gli oggetti inoltre sono preziosissimi per svelare il finale del nostro film.
In questo corto Taxi avete dimostrato una grandissima padronanza del linguaggio cinematografico, avete fatto qualche scuola di specializzazione dopo il DAMS?
Abbiamo frequentato un corso di regia a Genova presso lo Sdac dove ci siamo diplomati col massimo dei voti. Tuttavia crediamo che, le scuole servano fino ad un certo punto. Siamo convinti che si impari molto di più facendo, lavorando sul campo, sperimentando, sbagliando. E questo, senza vanto, lo abbiamo fatto da veri e propri autodidatti. Molte scuole purtroppo si basano solo sulla teoria. In questo modo non mettendo mai in pratica ciò che si è appreso diventa assai dura capirci qualcosa. Pensiamo comunque che pur possedendo le nozioni base di regia, la padronanza del mezzo e' una cosa che ti nasce da dentro quasi come un'intuizione.
Ho trovato davvero molto felice l'uso del bianco e nero per il suo valore simbolico che però senza un utilizzo sapiente della drammaturgia della luce non avrebbe sortito gli stessi effetti. Ci ho visto richiami antichi, mi ha fatto pensare a Orson Welles e a come ha utilizzato la luce nel suo Quarto Potere. E' stata una scelta intenzionale vero? E' quasi l'illuminotecnica la vera protagonista del corto?
La luce e il buio stesso hanno un'importanza assoluta nel corto. Il tema del film non è solo la morte ma anche la vita. Abbiamo utilizzato un bianco e nero molto marcato, il nero ne definisce i contorni cupi e quindi si rispecchia con il concetto di morte, qualcosa di oscuro e tetro. Il bianco invece è molto acceso ed è sempre in contrasto con il nero. Ciò rispecchia appunto l'ideologia di vita e morte. I presunti fantasmi sono in continua lotta interiore. Cercano inconsciamente di sfuggire alla loro nuova realtà illudendosi di essere ancora in vita. Su Orson Welles dico solamente che è davvero un onore fare paragoni tra il nostro Taxi e il suo Quarto potere. Tuttavia siamo ancora ben lontani dal suo livello eccelso.
Ci sono grandi esempi di Fratelli che lavorano insieme nel cinema, quale il vostro modo di lavorare? Siete sempre in accordo?
A questa domanda mi viene in mente un episodio simpatico. Quest'estate ad un festival a Frosinone (il Piglio Indipendent film festival) ci premiò il regista Enzo G. Castellari e ci battezzò in romanaccio "i fratelli Coen de Sanremo"... Sicuramente il fatto di essere in due aiuta molto. Solitamente facciamo tutto assieme, dalla scelta del soggetto alla messa in scena. Sul set ci dividiamo spesso i compiti: uno imposta la macchina da presa e dà indicazioni alla troupe e l'altro dirige gli attori. Devo dire che la troupe di Sanremo Cinema è davvero professionale e si lavora benissimo.
Torniamo alla storia del cinema: fate nel corto un piccolo cameo è a Hitchcock che volevate fare omaggio?
Si. Abbiamo preso come riferimento proprio lui. Ci piaceva apparire tra i fantasmi e lasciare sulla tomba una cinepresa. Con questo abbiamo voluto porgere una leggera critica sulla situazione del cinema soprattutto nel nostro paese. Un cinema senza più generi che pian piano sta morendo. Speriamo abbia la forza di rialzarsi.
Lo stesso vale per il fiammifero con cui si apre e si chiude il corto, mi ha fatto pensare ad alcuni finali circolari di Kubrick ma anche alla piuma di Forrest Gump...
L'idea del fiammifero ci piaceva molto. Un fiammifero che si riaccende da solo è l'illusione della vita stessa che continua. Quando si è invece consci della vera realtà, la fiamma che dunque è energia vitale si spegne. Ci immaginiamo la morte proprio così: un continuo giro all'infinito. Una fiamma che si spegne, che si riaccende, che si spegne e così via. Ecco, Kubrick è un maestro che solitamente guardiamo e lo portiamo come esempio.
Il cinema ha costi pazzeschi e ciò spesso scoraggia i giovani a cimentarsi ma voi avete dimostrato che si possono realizzare progetti di grandissima qualità a basso costo: qual è il trucco?
Scoraggiarsi? Non sopportiamo la gente che dice "Non posso girare perché non ho i mezzi". Crediamo che se uno volesse veramente fare qualcosa la deve fare e basta. Non parlerei di trucchi ma di credere ai sogni.
Abbiamo fondato la Sanremo Cinema e creato un gruppo solido di tecnici e soprattutto di amici che credono veramente in quello che si fa. Si è creata la giusta armonia con tutti e siamo riusciti a trasmettere la voglia di mettersi in gioco in un campo difficile come il cinema...
Poi ripetiamo che la passione va sopra ogni altro ostacolo. Quindi anche con pochi soldi si riesce a realizzare ugualmente un buon prodotto. Poi sinceramente oggi col digitale è davvero più facile ed economico.
Avete vinto molti premi: ma cosa vi hanno portato concretamente?
Vincere festival vuol dire prima di tutto avere la conoscenza che si è lavorato bene e che un pubblico ed una giuria hanno apprezzato il tuo lavoro. C'è soddisfazione personale. Concretamente però hanno portato pochi contatti lavorativi. Credo che vincere i concorsi sia un modo per fare curriculum e far parlare si sé. Anche il cimentarsi con altri autori è una cosa molto bella. Sinceramente continueremo ugualmente con le nostre forze, daltronde la passione è impossibile spegnerla.
In Taxi portate sullo schermo il tema della morte ma siete giovanissimi e ciò colpisce molto. E' un modo per esorcizzare la morte?
Assolutamente no. Non si esorcizza nulla. Abbiamo voluto raccontare una storia incentrata sulla morte perché è un argomento che ci affascina. Tutto il mistero che porta dietro si se è davvero fonte di grande interesse. A tutti piacerebbe sapere che cosa ci sarà dopo la vita terrena. E se magari sarà come lo abbiamo descritto noi allora passeremo alla storia...
Quali sono i circuiti distributivi di un cortometraggio?
Bella domanda. (Grazie) Il corto è un film breve e quindi ha sicuramente meno possibilità di avere una distribuzione vera e propria (con i lunghi non è tanto più facile) salvo in alcuni dvd contenenti più corti... La vera possibilità oggi è internet. Mettendo i propri film in rete puoi farli vedere veramente a tutto il mondo...
Domanda canonica: progetti per il futuro?
Stiamo lavorando al soggetto di un giallo. Questa volta però un lungometraggio. Riprenderemo un genere non più considerato qui in Italia. Sarà una nuova sfida. Sarebbe cosa positiva inserire degli stagisti del Dams come collaborazione. Ma è davvero troppo presto per parlarne. Nel 2009 inoltre, l'associazione culturale Il Matto di Carini - Palermo ci ha affidato la regia di un documentario da girare in Sicilia e finanziato dal Ministero dei beni culturali. Anche quella sarà una gran bella cosa.
Geneviève Alberti
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