Appunti dal Torino Film Festival
Finalmente il Torino film festival! Siamo alla ventisettesima edizione, Gianni Amelio debutta come direttore dopo due anni di guida Morettiana. In realtà non è cambiato molto: rimane il festival del cinema giovane in gara solo registi al primo o secondo lavoro anche se non mancano opere importanti come "Tetro" di F. F. Coppola nelle sezioni secondarie.
In tipico stile torinese nessun tappeto rosso: gli autori sono presenti in sala almeno ad una delle tre proiezioni e dopo il film si sottopongono al confronto col pubblico. Il pubblico è esigente, colto, educato: la coda davanti alle sale si snoda tranquilla nelle vie della città fra dehors e passanti si parla solo di cinema... migliaia gli accreditati a vario titolo, gli abbonati e spettatori. In concorso lavori da tutto il mondo più o meno sperimentali: vince "La bocca del lupo", [di Pietro Marcello, NdD] prima volta per un italiano, un documentario poetico che racconta l'amore tra Enzo e Mary, ma soprattutto mostra Genova la città del porto e dei carugi anche attraverso filmati di repertorio. Sicuramente il film che ho amato di più di questo Tff 2009. Comunque una buona annata: numerosi i film che hanno già un distributore e avremo modo di vedere nelle sale.
Sugli schermi torinesi è stata rappresentata in ogni forma la società contemporanea: una marea di disadattati incapace di avere relazioni autentiche, che riesce a sopravvivere solo grazie ad alcool e psicofarmaci. Anche i più fortunati come i protagonisti di "La bella gente" (di Ivano De Matteo, fuori concorso) colti impegnati ricchi non sono in grado di applicare nel quotidiano gli ideali professati... Da "Adas" dell'ungherese Roland Vranik, un mondo senza televisione in cui non si riesce neppure più a dormire a “Baseco Bakal boys” sui ragazzini della periferia di Manila che vivono recuperando rottami in mare da rivendere, dal racconto delirante alla storia di denuncia... dalle nevi sconfinate della Norvegia (“Nord” di R. D. Langlo) alla Cina delle miniere e dei treni a vapore (“Jalainur” di Zhao Ye) al burbero Felix di “Get low” dell'americano Aaron Schneider sembriamo abitare un mondo dove al massimo “le solitudini si sfiorano”.
Cinzia Di Grazia
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