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Cineforum> Rubriche> Eventi> Autunnonero '07: Dave McKean
Dave McKean
nato nel 1963 a Maidenhead (Gran Bretagna)
Regista, autore di fumetti, fotografo, illustratore

Principali riconoscimenti:
2006 Amsterdam Fantastic: Tulipano Nero per MirrorMask
2005 Festival di Locarno: Menzione Speciale per MirrorMask
2005 Sarasota Film Festival: Premio del pubblico per MirrorMask
2003 Festival di Clermont-Ferrand: Grand Prix per N[eon]

Filmografia:
2005 MirrorMask
2004 Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (conceptual artist)
2002 N[eon] (corto)
1998 The Week Before (corto)
Autunnonero
Arkham Asylum
Mirrormask
Due giorni con Dave McKean
Dolceacqua, entroterra imperiese, ottobre 2007. L’iniziativa si chiama AutunnoNero (festival di folklore e cultura horror, alla sua seconda edizione), l’appuntamento è di quelli da non perdere: un week end intero in compagnia di Dave McKean, regista-fumettista-disegnatore-scrittore-ecc. inglese, “creatore di mondi onirici e di atmosfere sospese tra l’horror e il fantastico” (come viene presentato dagli organizzatori).

Un breve riepilogo, per sommi capi, della carriera di McKean ad uso e consumo di chi ancora non lo conoscesse: in sodalizio con Neil Gaiman ha realizzato le graphic novel Violent Cases, Black Orchid, la serie di Sandman, Signal to noise e Mr Punch, ha scritto Cages, ha scritto e diretto il film Mirrormask, è stato conceptual artist di Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban e di Harry Potter e il Calice di Fuoco (“un’esperienza deludente, fare solamente delle piccole parti di disegni non mi ha dato grande gratificazione, è mancata la progettazione e la collaborazione di gruppo”, ha confessato in quest’occasione), ha realizzato le tavole per il capitolo Arkham Asylum del supereroe Batman. E proprio Arkham Asylum è il nome scelto per l’evento celebrativo dell’artista 44enne britannico: proiezione dei suoi corti e di Mirrormask, doppio incontro con i fan e allestimento - nell’incantevole cornice del Castello dei Doria - della mostra Whispers, che presenta tavole originali delle sue graphic novel più celebri; copertine di Sandman e Hellblazer, illustrazioni da Coraline di Neil Gaiman e dal suo film d’esordio; fotografie, dipinti e molto altro.

La conversazione con McKean si è estesa su due giornate, inframmezzata dalla visione dei suoi lavori, ma il discorso non si è mai interrotto: tantissime le curiosità e gli aneddoti svelati, immediata la simpatia del personaggio, succulente le opere in cantiere o in procinto di uscire.

La carriera cinematografica di McKean si è svolta attraverso una serie di cortometraggi, in parte di animazione e in parte con attori, grazie ai quali ha potuto fare “una serie di sperimentazioni, di rinnovamento dell’immagine, di ricerca: la loro compiutezza si è rivelata in Mirrormask”. Un’opera nata dalla volontà del suo regista: “Nessuno è mai venuto a bussare alla mia porta per chiedermi di fare un film, quindi ho deciso di farlo da solo. Ho creato un piccolo team di quattro persone e ho iniziato a produrre alcuni corti. Non avevo alcuno scopo commerciale, il mio intento era solo scoprire se sarei riuscito a fare un film da solo. Sarei riuscito a fare un film completo? Questa era la sfida”.

Decisivo in tal senso l’incontro con Lisa Henson, figlia di Jim (produttore dei Muppets e di alcuni dei capisaldi del cinema di genere anni ’80, come Labyrinth e Dark Crystal, NdA), che “ha avuto così la possibilità di fare un film fantasy, anni dopo il padre – i cui lavori erano costati molti milioni di dollari, mentre noi siamo stati molto più economici avendo speso solo 4 milioni di dollari”. Mirrormask è una storia nata dalla storica collaborazione con Neil Gaiman. “Abbiamo voluto realizzare un film con tre scopi: doveva essere rivolto alle famiglie, essere rigorosamente fantasy e realizzato a basso budget. Quindi abbiamo iniziato buttando giù delle idee: Neil ha inserito l’elemento dello scambio d’identità, mentre io – ispirato da fatti personali – ho creato Helena, il personaggio principale, che mi è stato ispirato da mia figlia quindicenne”. A questo abbozzo di idea “ho poi voluto aggiungere qualcosa che costituisse un ostacolo, la malattia della madre, per cui la protagonista fosse costretta a prendere delle decisioni importanti. La reazione di Helena a tali eventi è al centro del film”. Mirrormask è nato così. “Credevamo di passare due settimane solo buttando giù idee, chiacchierando senza costrutto: non pensavamo che quella sarebbe stata la versione definitiva!”. Ma quello che di solito non succede mai a Hollywood è successo in questo caso: quando i due autori hanno consegnato il primo abbozzo di copione ai produttori, questi hanno subito detto “qui ci sono i soldi, ok, fantastico, iniziate subito”.

“Credo – ha detto ancora McKean – che in fondo il film avesse bisogno di più dettagli, di più cura e di maggiore approfondimento: non sono del tutto contento del risultato finale. Sono molto felice di alcune parti, è stato molto bello lavorare con gli attori – tutti molto bravi, ma i film che sto facendo ora li scrivo più volte fino a che non sono soddisfatto, anche per anni”. La cosa più soddisfacente di tutto Mirrormask? “Sicuramente i titoli di coda, quelli mi piacciono molto! Invece cambierei tutto il resto. Mia moglie dice che, avendo lavorato per 5 anni alla pellicola e conoscendo a memoria ogni fotogramma, non riesco più a vederlo con gli occhi dello spettatore, ma solo del tecnico che vorrebbe poter spostare ogni oggetto, o la macchina da presa, e così via”. Per assurdo, il regista avrebbe preferito realizzare un film di pessima qualità. “Le cose belle rischiano di essere dimenticate in fretta: prova invece a fare una cosa brutta e il pubblico non se la dimenticherà mai! E quando la rivedrà passerà anche i 10 minuti prima della scena a pensare "uffa tra poco arriverà la scena brutta" e altri dieci dopo a ripensarci... e così per una brutta sequenza rovini 20 minuti di film!”.

Come sceglie le sue storie? “Bisognerebbe sempre trovare una storia che ti emozioni, e che di conseguenza emozioni anche il tuo pubblico. Ogni occasione è buona da trasformare in storia, non solo la finzione ma anche la realtà: credo che la passione sia fondamentale, per me una persona va a vedere il mio film se veramente riesco a trasmettere delle emozioni”. Il prossimo lavoro del disegnatore si intitola Luna ed esce in questi giorni nel Regno Unito: un film realizzato con attori in carne e ossa e con parti di animazione. “Si svolge nell’arco di un weekend, i protagonisti sono due coppie: si può parlare di un film di fantasia, ma le emozioni sono vere, le persone sono vere e il lutto di cui si parla grave”.

McKean è già al lavoro sul film successivo, Signal to noise, un progetto “molto ambizioso (la storia è divisa in due parti, una ambientata nel 999 e l’altra ai giorni nostri), e siccome gran parte del film è ambientata nella mente di una persona che sta morendo, è molto introspettivo. Guillermo Del Toro mi ha aiutato nella produzione, e per gran parte del budget”. Un lavoro ancora in collaborazione con Gaiman. La collaborazione tra i due è ormai storica, il loro è un rapporto basato anche sulle profonde differenze di lavoro. “Tra noi è uno scontro continuo, in senso artistico. Io arrivo sempre con decine di fogli, in cui ho già scritto le mie idee per le varie scene, e cerco di metterle insieme, mentre Neil si siede al computer e si mette a scrivere sul momento personaggi e storia. Due metodi di lavoro opposti che creano sempre uno scontro per funzionare insieme, con me che parto dalle fondamenta e Neil che parte dal tetto!”.

Una cosa che non stimola l’artista è la trasposizione dei suoi fumetti in pellicola. “Non sono affatto interessato a trarre film da fumetti. Non amo questo genere di pellicole – in particolare quelle sui supereroi: vedere attori che si mettono calzamaglia per fare Batman, onestamente, mi imbarazza. Sono cose che non fanno per me”. L’attrazione del regista per il cinema nasce quando era bambino. “Nel momento in cui ho iniziato questa carriera – ha confessato – mi sono guardato indietro chiedendomi perché allora amavo tanto i film: le pellicole che più mi affascinavano erano quelle mute, perchè erano misteriose, strane… Questa sensazione mi è rimasta fino ad oggi e l’ho trasmessa nei miei disegni (nella mostra Whispers era presente anche una serie di quadri ispirati a quei film, NdA)”. Non c’è un titolo in particolare che ricorda, “ne vedevo solo dei pezzi, non mi rendevo conto delle trame. Erano talmente nebbiosi e oscuri che non saprei dire se qualche mio personaggio ne è stato ispirato, più che altro ho ripreso quelle atmosfere. Di sicuro Un Chien Andalou di Bunuel è il film più scioccante che abbia mai visto, ancora oggi mi impressiona!”.

Prima dei saluti, dalla platea parte una domanda, secca: meglio Tim Burton o David Lynch? “Lynch è uno dei miei preferiti in assoluto. Fin da quando ero giovane mi ha colpito l’immaginazione che è dietro ai suoi film, penso sia incredibile. Eraserhead è uno dei migliori film horror in assoluto, parla degli orrori quotidiani con cui tutti abbiamo a che fare: conoscere per la prima volta i genitori della propria fidanzata, prendersi cura del proprio primo figlio o cambiargli i pannolini! Anche Velluto blu mi è piaciuto tanto, come altri suoi lavori. Tim Burton è molto diverso, molto più americano – e non lo dico come un complimento: dei suoi film mi è piaciuto solo Ed Wood”.
Carlo Griseri (www.cineboom.it)
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