Da Sodoma a Hollywood: il cinema gay è sempre più bello!
La 23^ edizione del festival cinematografico Da Sodoma a Hollywood si è chiusa a Torino, lasciando negli spettatori un senso di vuoto dopo 9 giorni intensi di visioni e di scoperte, il tutto nella splendida “location” dell’elegante cinema Ambrosio.
Da Sodoma a Hollywood è il festival che celebra il cinema glbt (gay, lesbian, bisexual e trans gender), detto anche per maggior semplicità cinema queer. Un cinema che sempre più ogni anno sa dimostrarsi di grande varietà e qualità, tanto da far pensare ad alcuni che sia un peccato che certe pellicole si “auto-ghettizzino” in un evento che - pur facendo registrare ottimi risultati di affluenza - sembra non riuscire a diventare “per tutti” e a raggiungere il pubblico pluralista che dovrebbe frequentarlo.
Erano pochi i titoli di autori che conoscevo, ma ormai ho imparato a fidarmi degli organizzatori: è raro uscire da una sala e non sentirsi “arricchiti” in qualche modo per aver conosciuto una storia importante o per aver imparato un nuovo modo di vedere il cinema.
Tanti ospiti, un clima informale e gioviale all’interno del cinema, la possibilità di mangiare - o anche solo prendere un aperitivo - tra un film e l’altro senza neanche dover uscire, seduto al tavolino con a fianco registi, attori e produttori che un attimo prima erano in sala a presentare e commentare i loro lavori… Tutto questo e molto altro è Da Sodoma a Hollywood, un festival come nessun altro in Italia.
I PREMI
Iniziamo questa cronaca parlando dei film premiati, che sono stati tanti.
Nella categoria lungometraggi ha vinto il premio Ottavio Mai l'argentino La León di Santiago Otheguy, per "il suo impatto visivo, per la sua essenzialità narrativa e per la capacità di mettere in scena la potenza della natura incontaminata". Ho avuto la fortuna di vederlo, e devo dire che la resa estetica del film, ambientato sul delta del Paranà e girato in uno splendido bianco e nero (scelto per comodità e risparmio, ha ammesso il regista, ma comunque d’impatto), è notevole e lo ha posto tra i migliori visti in assoluto.
Due i premi speciali della giuria: uno al tedesco Was am Ende zahlt (Nothing Else Matters) di Julia von Heinz e l'altro al francese Les Chansons d’amour di Christophe Honoré.
Il giudizio del pubblico ha premiato Were the World Mine di Tom Gustafson, bellissimo musical in cui - durante le prove di Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare - un giovane studente gay, triste e isolato per la sua condizione di “non accettato” dalla società locale, riesce con un involontario incantesimo a rendere omosessuale tutto il paese… Una trama surreale, ottime musiche originali, divertimento assicurato. Premio meritatissimo, speriamo seguito da una giusta attenzione da parte dei distributori.
Tra i documentari, il miglior lavoro è stato A Jihad for Love di Parvez Sharma, il film che più ha risposto allo slogan del festival “i film che cambiano la vita”, per la sua importanza “sia nel mondo islamico sia in quello occidentale, per l’ambizione e l’ampio sguardo sulla topografia geografica e umana. E ancora per una regia coraggiosa, ipnotizzante e convincente".
Anche qui, due menzioni speciali: una per l'australiano Darling! The Pieter Dirk Uys Story di Julian Shaw (che ha vinto anche il premio del pubblico); l'altra per l'israeliano Behikvot Ahatiha Ahasera (The Quest for the Missing Piece) di Oded Lotan. Tra i cortometraggi il primo premio è andato al brasiliano Alguma Coisa Assim (Something Like That) del brasiliano Esmir Filho, "film che ha catturato il delicato momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in un contesto gay e di ampio respiro". Per la giuria, il corto “attraverso la prima esperienza di due ragazzi in un locale gay, (...) coglie, in modo realistico e nello stesso tempo metaforico, un particolare momento emotivo della loro vita e lo fa in modo eccellente dal punto di vista cinematografico sia per quanto riguarda l’editing, sia per quanto riguarda la colonna sonora e la recitazione". L’apprezzamento per questo corto - che purtroppo non ho visto - è stata generale, avendo vinto anche il riconoscimento del pubblico. Una menzione speciale è andata a En liten Tiger della svedese Anna-Carin Andersson.
Per la prima volta quest’anno è stato assegnato il premio Nuovi Sguardi, pensato per omaggiare i lavori che, “a prescindere dai temi trattati, sappiano utilizzare forme e linguaggi in cui il queer diventa una lettura del reale".
A vincere ex-aequo sono stati Panorama di Loo Hui Phang (Francia, 2007) e Solos di Kan Lume e Loo Zihan (Singapore, 2007). Ero in sala per la proiezione di quest’ultimo e sono uscito a metà, lo devo ammettere: silenzio infinito, azioni minime, atmosfere plumbee… non ho retto, ma di certo si tratta di un film dalla struttura insolita nel programma festivaliero. Anche in questa categoria, è stata assegnata una menzione speciale: a riceverla il francese Love and Words di Sylvie Ballyot.
ALTRE VISIONI
Ma il festival non è solo premi, sono state tantissime le “cose” viste che hanno suscitato emozioni e lasciato un piacevole ricordo. Due documentari molto interessanti sono stati: Fairytale of Kathmandu e She’s a boy I Knew.
Il primo, diretto da Neasa Ni Chianian, segue il viaggio di un celebre poeta irlandese in Nepal. Un lavoro pensato come omaggio all’arte e alla vita del poeta, che si trasforma in un duro atto d’accusa quando la regista si accorge delle “intime” amicizie che egli porta avanti con ragazzi del luogo in cambio di un “sostegno” negli studi o altro. Un lavoro intenso, con splendide immagini di paesaggio. Il secondo è invece un documentario autobiografico della regista canadese Gwen Haworth, che racconta la sua transizione da uomo a donna (lesbica). Un’esperienza di vita unica, raccontata con tatto e ironia attraverso le emozioni e i ricordi di amici e parenti.
Le regole del Vaticano di Alessandro Avellis vuole invece rispondere alle seguenti domande: "Com'è finanziata la propaganda reazionaria del Vaticano? Quali sono il percorso e le ideologie di Papa Benedetto XVI? Possiamo continuare a considerare l'Italia come uno stato laico?". La storia del fallimento della legge sui Dico, l’ingerenza del Vaticano nella vita sociale italiana… un’ora difficile da buttare giù senza provare disgusto e fastidio per la Chiesa e i suoi uomini.
Tra i lungometraggi, il divertentissimo film inaugurale, Chuecatown di Juan Flahn: interpretato da Pepon Nieto e Carlos Fuentes, è la storia di un’anomala coppia di omosessuali (amanti del calcio e non della moda, caso raro secondo gli sceneggiatori) che si trovano a fronteggiare un agente immobiliare-serial killer di vecchiette. Fresco, ironico, ben calibrato nella definizione dei personaggi (la detective piena di fobie, in particolare) ha raccolto un grande applauso. E poi, ancora, il visionario Funeral parade of roses (film giapponese del 1969 di Matsumoto Toshio), ispiratore dell’Arancia meccanica di Stanley Kubrick; Madchen in uniform, film tedesco del '31 (regia di Leontine Sagan), capostipite del genere "amori lesbici in collegio", straordinariamente avanti per il suo periodo; l’interessante Finn's girl di Dominique Cardona e Laurie Colbert.
Una delle gemme migliori di tutto il festival è stata The Pattern Trilogy di Jaime Travis, regista già vincitore di una menzione speciale lo scorso anno con il suo corto The saddest boy in the world. E’ "un'epica storia anti-romantica", capace di mescolare generi e ispirazioni con grande originalità. Tra la video arte, il mockumentary e il musical, è un’opera da applausi, la conferma della genialità del regista. Un nome da seguire.
Carlo Griseri (www.cineboom.it)
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