CANNES, 17 MAGGIO 2008
Partenza ore 7.00 del mattino, direzione Cannes (Francia). Come l’anno scorso la nostra esperienza festivaliera sarà condensata in un'unica, ma intensa, giornata. Tra ritardi vari arriviamo alla fila per ritirare l’accredito verso le 9 e alle 9.15 siamo pronti per la 61° Edizione del Festival di Cinema più famoso del mondo (insieme alla Mostra del Cinema di Venezia).
Dopo un giro su e giù per la Croisette, giusto per ri-ambientarsi, ci mettiamo in fila per assistere alla proiezione di Wolke 9 (Cloud 9) di Andreas Dresen. Il film è in concorso nella categoria Un Certain Regard, la sezione più di ricerca del festival, e quindi è proiettato nel bellissimo Teatro Debussy.
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Inge e Werner
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Inge e Karl
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Regista e cast
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WOLKE 9 (Cloud 9) di Andreas Dresen
Con Horst Rehberg, Ursula Werner, Horst Westphal (Germania, 98')
Il film ha per protagonista Inge, una donna sposata che prende una grande sbandata per un suo vicino col quale inizia una passionale storia di amore e sesso. Tra bagni nudi nel lago, corse sotto la pioggia e amplessi sul tappeto, Inge sembra rinascere, fino a quando, per togliersi il senso di colpa, decide di confessare la relazione al marito…
La trama a prima vista può sembrare abbastanza scontata e “già vista”, ma questo se si ignora l’elemento più originale della pellicola: Inge ha più di 60 anni e il focoso amante 76!
Il film infatti ha il merito di mostrare la vita di persone anziane non riducendole al semplice ruolo di nonni come accade in quasi tutti i film, spingendosi fino a nudi integrali e sesso quasi esplicito. Si parla di accettazione di un corpo nel quale non ci si riconosce più, di riscoperta della sessualità, della monotonia che si può instaurare in una coppia dopo trent’anni di vita assieme. Molte sono quindi le tematiche di questo bel film tedesco, recitato bene da tre attori convincenti. Molto buona ed originale anche la regia [di Andreas Dresen, Orso d'Argento nel 2002] che alterna telecamera a mano ad inquadrature a camera fissa, con scelte sempre funzionali alle scene mostrate. Alla proiezione erano presenti il regista, il produttore e due membri del cast.
[Alla fine del Festival il film ha ricevuro il premio Coup de Coeur della giuria].
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Palè Stèphanie
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Marcè
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Palma d'oro
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Usciti soddisfatti dalla sala, ci dirigiamo verso il Teatro Croisette dove vengono proiettati i film della Quinzaine des Réalisateurs, sezione parallela del Festival giunta quest’anno alla 40° edizione. Grazie al brutto tempo tra il nuvoloso e il piovoso, quest’anno vi è un po’ meno gente rispetto alla scorsa soleggiatissima edizione e quindi le file per i film sono decisamente più abbordabili. Dopo meno di un ora di coda, durante la quale abbiamo approfittato per il pranzo sacco, entriamo in sala per assistere al secondo film della nostra giornata: Tony Manero.
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Raul (Alfredo Castro)
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Regista e attore
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Alfredo Castro
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TONY MANERO di Pablo Larraìn
Con Alfredo Castro, Amparo Noguera (Cile, Brasile - 1h38)
Il film è ambientato nel Cile del 1978, sotto la dittatura sempre più rigida di Pinochet. Il protagonista è Raul, un cinquantenne con una fissazione maniacale per il film La febbre del sabato sera e in particolare per Tony Manero, il personaggio interpretato da John Travolta. La sua occupazione infatti è esibirsi, con un suo piccolo gruppo di ballo, in spettacoli organizzati in un bar di periferia in cui Raul è il protagonista assoluto. Questo fino alla notizia che un programma televisivo organizzerà, entro un paio di settimane, la sfida per incoronare il “Tony Manero cileno”. A questo punto Raul farà di tutto per raggiungere l’obiettivo, senza farsi scrupoli a rubare e diventare un pluriomicida.
Tony Manero è un film spietato, con un protagonista completamente pazzo pronto a scatti di violenza improvvisa ed estrema. Una bella sorpresa questa pellicola cilena dove, tra un morto e l’altro, c’è anche spazio per la risata e la riflessione sul clima di terrore durante la dittatura di Pinochet.
Buona la regia di Pablo Larraìn (Fuga) e molto particolare l’interpretazione di Alfredo Castro, molto somigliante ad un trasandato Al Pacino.
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Artisti di strada
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Hotel Calton
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Automobile
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Soddisfatti anche di questa seconda pellicola decidiamo di vedere un film dell’altra storica selezione non ufficiale del Festival: Semaine Internationale de la Critique, che dal 1962 ha come obiettivo lo scoprire nuovi talenti presentando solo opere prime e seconde.
Il film scelto è l’inglese Better Things, preceduto da uno dei cortometraggi in concorso Ahendu nde sapukai. Oltre la speranza di vedere l’esordio di un possibile autore di domani, abbiamo scelto questa proiezione anche per vedere un’altra delle tante bellissime sale della città: Espace Miramar, salettina molto più piccola delle precedenti. La proiezione è preceduta dalla presentazione del regista e di parte del cast.
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Ahendu nde sapukai
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Better Things
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Duane Hopkins (Better Things)
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AHENDU NDE SAPUKAI (I Hear Your Scream) di Pablo Lamar Con Virgilio Rolón (Argentina, Paraguay, 12’)
Il cortometraggio d’esordio di questo regista Paraguaiano di 24 anni, lascia abbastanza perplessi.
Guardate l’immagine qui sopra e immaginate di rimanere fissi, con camera ferma, per 12’ minuti su questa inquadratura. Il cortometraggio è proprio questo: la ripresa di quella collinetta nel silenzio e calma del crepuscolo fino a quando non diventa tutto (finalmente) buio.
Arte o noioso e pretestuoso esercizio di stile? A giudicare dalle reazioni in sala io penderei più per la seconda…
BETTER THINGS di Duane Hopkins
Con Liam McIlfatrick, Che Corr, Rachel McIntyre (Regno Unito, Germania, 93’)
Il film prende le mosse dalla morte per overdose di una giovane ragazza; da questo drammatico evento si dipanano storie ed emozioni di un gruppetto di ragazzi nell’Inghilterra rurale.
Sesso e droga, tanta droga, corse in macchina, male di vivere…
Nel primo lungometraggio dell’inglese Duane Hopkins (di cui però negli scorsi anni erano già stati proiettati i primi due corti) non succede molto. Tra discorsi tra ragazzi e sballi quasi da overdose, tra notturne partite di playstation, siringhe e canne, la pellicola riesce a trasmettere il senso di tristezza, di noia, ripetitività e dolore che caratterizza un certo modo di vivere purtroppo molto diffuso. Però forse è a livello formale che il regista esagera, consegnandoci un film che sa di costruito e che non riesce mai, nemmeno quando dovrebbe, ad emozionare. Anzi, forse l’unico sentimento che trasmette è una noia diffusa che porta più volte a guardare l’orologio sperando che manchi poco alla fine. Una sensazione diffusa in tutta la sala tanto che, e non mi era mai capitato di vederlo a Cannes, ininterrottamente durante tutta la pellicola molta gente ha lasciato la sala, in cerca forse di film più coinvolgenti. Film quindi “bocciato” sia da me, che da gran parte del pubblico presente.
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Ingresso in sala
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Limousine
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Hotel
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Al termine della pellicola si sono fatte circa le 19.30 e quindi, dato che mancano più di due ore al prossimo film, decidiamo di concederci una pausa per un hamburger e patatine.
Saziato il nostro appetito e dopo aver fatto un giro tra macchine bellissime e persone elegantissime, eccoci di nuovo pronti per la pellicola che più attendevamo: Tokyo Sonata di Kurosawa Kiyoshi, in concorso per l’Un Certain Regard.
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Una scena del film
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Ryhuei (Teruyuki Kagawa)
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Regista e cast
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TOKYO SONATA
di Kurosawa Kiyoshi (Giappone, 119')
Con Teruyuki Kagawa, Kôji Yakusho, Kyôko Koizumi
Una famiglia modello: marito (dirigente di una grande aziende), moglie (bella e fedele casalinga), due figli. Sembra andare tutto bene fino a quando lui viene licenziato senza preavviso e non riesce a trovare un nuovo lavoro all’altezza del precedente. Vergognandosi di dirlo alla moglie, continua ogni giorno ad uscire di casa in giacca e cravatta come per andare a lavoro, mentre invece passa la giornata tra uffici di collocamento e panchine del parco.
Nel frattempo il figlio più grande si arruola volontario dell’esercito statunitense e il più piccolo, di nascosto e contro il volere paterno, inizia a prendere lezioni di pianoforte.
La moglie si trova così ad avere il difficile compito di tenere assieme una famiglia che sembra destinata a sfaldarsi.
Difficile riassumere con poche parole un film bellissimo come Tokyo Sonata, nel quale succede davvero di tutto e i personaggi, anche quelli minori, sono uno più bello dell’altro. Un film emozionante, che parla di problematiche attualissime e drammi reali (licenziamento, difficoltà di ripartire da zero, scontro generazionale tra padri e figli, suicidio…), ma lo fa con una leggerezza che a tratti tocca il divertente (si ride molto) e il sognante. Davvero un altro capolavoro nella filmografia di questo grandissimo regista giapponese, acclamato autore di pellicole quali Kairo, Seance (premio Fipresci al Festival dei Cannes 2000) e Cure. Per chi volesse approfondire la cinematografia di questo straordinario regista, vi rimando all’intervista fatta da Carlo Griseri sul nostro sito.
Oltre alla regia, lodevole anche la prova di tutto il cast, tra cui il Kôji Yakusho (Babel, Memorie di una geisha) e Teruyuki Kagawa (Aruku-hito, Bashing).
Alla proiezione era presente il regista e gli attori, accolti con grandissimo entusiasmo dal pubblico e in particolare dai molti asiatici presenti in sala.
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Soddisfatti della proiezione (e della giornata), verso 1.30 ripartiamo per tornare a casa, sperando che qualcuno dei film appena visti trovi prima o poi spazio anche nella distribuzione italiana.
Marco Frassinelli
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