Cinemambiente 2008, un successo senza precedenti
Iniziamo dalla fine, e cioè dai vincitori. Non per una ragione specifica, ma perchè mai come quest’anno i titoli scelti dalle diverse giurie hanno incontrato il favore del pubblico (bisognava sentire il calore degli applausi in sala al momento dei vari annunci per crederci), e lo spettro di tematiche affrontate dai lavori premiati è tanto ampio da dare un’idea completa del
Cinemambiente.
A vincere il riconoscimento principale dell’11^ edizione del festival è stato
The nuclear comeback del neozelandese
Justin Pemberton, un film - come ha dichiarato la giuria - “decisamente importante sul più importante problema dei nostri tempi la decisione carica di tensione su come produrre l’energia. Il regista affronta un tema complesso e lo spiega allo spettatore in modo tranquillo e tuttavia simpatico. Un forte senso di equilibrio giornalistico fa sì che l’argomento non si perda in emozione, come spesso accade con l’energia nucleare. Lo spezzone dietro le quinte a Chernobyl è una conquista straordinaria e resterà nel ricordo per anni. Eccellente”. Nulla da aggiungere, il documentario ha scaldato gli animi in sala e reso presente un problema che è sempre più comune in tutto il mondo. Alla proiezione è seguito un seguitissimo dibattito sul tema con “addetti ai lavori” come l’ex Ministro dell’Ambiente
Alfonso Pecoraro Scanio e il presidente di Iride Energia,
Riccardo Casale.
Tra i film italiani ha vinto
Cry sea di
Cafi Mohamud e
Luca Cusani, un lavoro davvero eccellente sul problema della pesca in Senegal. “Un documentario che si fa guidare dalle domande e cerca risposte vere, che sa cogliere le contraddizioni di decisioni prese da pochi e potenti, le cui conseguenze ricadono su chi, da quelle decisioni, è storicamente escluso”. Davvero ben girato, ben scritto, ben curato: complimenti. I due registi (completamente a loro spese!) hanno girato tra Senegal (sulla costa, sulle piroghe dei pescatori locali ma anche al largo sui grandi pescherecci europei), Londra e Bruxelles (l’Unione Europea con i suoi accordi commerciali che non rispettano la popolazione senegalese è il “cattivo” della situazione), cercando e riuscendo a portare avanti un contraddittorio in cui tutte le parti in causa hanno lo spazio per dare la loro versione. Non è una cosa che molti documentaristi si preoccupano di fare, troppo spesso spinti dalla voglia di dimostrare la loro tesi: quindi doppi complimenti!
Marina Rosset per il film
La main de l’ours ha vinto l’ultima categoria, quella di animazione. E’ l’unico titolo tra i premiati che non ho avuto la fortuna - e il piacere - di vedere, quindi mi affido completamente alle parole della giuria. “Un film di diploma poetico e maturo che tratta il tema dell’ambiente senza retorica, con destrezza ed efficacia grafica e narrativa”.
Come ogni festival che “si rispetti”, anche al
Cinemambiente oltre ai tre premi principali vengono assegnati anche numerosi premi collaterali e menzioni speciali che tendono a dare lustro al maggior numero di titoli possibile. Quest’anno però sono stati un pugno i documentari capaci di ottenere i favori di pubblico e critica, e quindi a vedersi premiare da più parti:
Cry sea, ad esempio, ha ricevuto anche la menzione di Legambiente, e il commovente
Puujee di
Kazuka Yamada (scelto per inaugurare la rassegna) è riuscito a portarne a casa ben due. La storia della ragazzina nomade Puujee e della sua famiglia ha coinvolto tutti coloro che l’hanno potuta seguire, e il viso della bambina sui manifesti ha accompagnato tutte le giornate di festival.
Al di là dei premi, mai come quest’anno il
Cinemambiente è stato un successo di pubblico: più volte (quasi sempre nel corso del weekend) le sale sono state riempite e molta gente è rimasta fuori! Le iniziative collaterali, organizzate con musei e istituzioni di Torino e della cintura, sono state numerose e interessanti, i temi sempre più vari e approfonditi: non solo ambiente, ma anche diritti umani e sicurezza sul lavoro, con rassegne specifiche allestite in collaborazione con Amnesty International e con l’INAIL.
“Esserci”, a questo festival, è sempre più un dovere per coloro che hanno una coscienza civile e che hanno a cuore il destino del pianeta. I documentari proposti, anche nei (rari) casi in cui il loro livello qualitativo sia basso, non fanno mai uscire dalla sala con la sensazione di aver perso del tempo: uno spunto, una riflessione sono il minimo che regalano.
L’incontro con Daryl Hannah
Il momento sicuramente più mediatico di tutto il
Cinemambiente è avvenuto il sabato, quando dagli Stati Uniti è giunta
Daryl Hannah, star hollywoodiana da tempo impegnata nella lotta per la salvaguardia dell’ambiente.
L’attrice, protagonista tra gli altri di
Blade Runner,
Splash - Una sirena a Manhattan e
Kill Bill, ha vissuto due momenti torinesi: al mattino, dopo una visita privata al Museo Nazionale del Cinema, ha incontrato i giornalisti, mentre la sera l’ha dedicata al pubblico e alla proiezione di alcuni suoi cortometraggi ambientalisti (li si può vedere anche sul sito ufficiale,
http://www.dhlovelife.com).
In entrambe le occasioni, tema dei suoi interventi è stata l’importanza di rispettare l’ambiente: l’attrice ha voluto dare anche semplici ma utili consigli per diventare “attivi protagonisti”, come muoversi in bici e non in auto, ridurre i consumi, ridurre gli sprechi e tanti altri piccoli gesti che possono “cambiare il mondo”.
I suoi lavori sono curati, anche se lei stessa si è scusata dicendo che sta “ancora imparando” e che a volte si è addirittura “dimenticata di accendere il microfono”. Sarà, ma il prodotto finale mostrato a Torino era di buona qualità e anche molto interessante, in particolare i corti
Eviction, un documento sul suo arresto per proteggere la comune verde di South Central Farm in California, e
Carbon Neutral, un’intervista allo scienziato ecologista
David Suzuki che consiglia alcune buone pratiche fondamentali per la salvaguardia del pianeta.
Carlo Griseri (www.cineboom.it)