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Cineforum> Rubriche> Approfondimenti> Dario Argento - 1° parte
Dario Argento
Naro a Roma il 7 settembre 1940
Regista, sceneggiatore, produttore

Filmografia essenziale:
1985 Phenomena
1982 Tenebre
1977 Suspiria
1975 Profondo rosso
1971 Quattro mosche di velluto grigio
1970 L'uccello dalle piume di cristallo


Articolo:
-1° parte
-2° parte
Dario Argento (prima parte)
Riconosciuto universalmente come uno dei più grandi maestri del genere thriller e horror,
Dario Argento nasce a Roma il giorno 7 settembre 1940.

Figlio del produttore cinematografico Salvatore Argento e della fotografa e modella brasiliana Elda Luxardo, Dario dimostra fin dai primi anni dell’infanzia e dell’adolescenza un carattere piuttosto difficile e introverso e una salute assai precaria; le sue frequenti malattie lo costringono infatti a restare a letto per lunghi periodi, facendolo così diventare un accanito lettore di libri e riviste cinematografiche.
Tuttavia, il giovane Dario, pur vivendo in un ambiente costituito prevalentemente da artisti dell’ambiente cinematografico, non ha ancora sviluppato una vera e propria passione per la Settima Arte, interessandosi invece parecchio di lettura e scrittura.

Al secondo anno del liceo classico, in seguito ad una forte incomprensione avuta con un docente, decide di scappare di casa rifugiandosi a Parigi, dove è costretto a vivere per circa un anno di soli espedienti e umili lavoretti (tra cui il lavapiatti), adattandosi allo stile di vita dei clochard francesi.

Dopo aver fatto rientro in Italia, inizia a collaborare con alcune riviste fondate dal Partito Comunista dell’epoca tra cui l’importante quotidiano Paese Sera, per cui svolge principalmente la mansione di critico cinematografico, avendo così modo di confrontarsi con altre importanti personalità del settore. In questo periodo, Argento ha modo di consolidare appieno la sua passione per il cinema e sviluppare i propri gusti cinefili, che vanno dai gialli e thriller di Alfred Hitchcock e Fritz Lang (due dei suoi modelli cinematografici di riferimento) ai grandi autori della Nouvelle Vague, tra cui François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol e Eric Rohmer fino agli spaghetti-western di Sergio Leone.

La sceneggiatura cinematografica
Nel frattempo, Argento intraprende l’attività di sceneggiatore cinematografico, collaborando alla stesura di film (più che altro di ‘serie B’) quali: “Cimitero senza croci” (1968), “La stagione dei sensi” (1968), “La rivoluzione sessuale” (1968), “Probabilità zero” (1968), i western “Oggi a me domani a te” (1968) di Tonino Cervi e “Un esercito di cinque uomini” (1969) di Italo Zingarelli e il drammatico “Metti, una sera a cena” (1969) di Giuseppe Patroni Griffi.

La prima significativa svolta di carriera per Argento arriva nel 1969 quando collabora insieme al grande Sergio Leone e a un giovane Bernardo Bertolucci al soggetto di “C’era una volta il West”, uno dei titoli di riferimento per l’intero genere western.

L'uccello dalle piume di cristallo
Nello stesso anno, Dario compie un altro passo decisivo: passa alla regia. Il suo primo lavoro dietro la macchina da presa è un giallo dal titolo “L’uccello dalle piume di cristallo”, girato nell’estate del 1969 e prodotto dalla S.E.D.A. Spettacoli fondata dallo stesso Argento insieme al padre.

Uscito nelle sale italiane nel febbraio del 1970, il primo film del regista romano racconta la storia di un giovane scrittore americano di nome Sam Dalmas in soggiorno a Roma che, una sera, assiste del tutto casualmente al tentato omicidio della moglie di un ricco proprietario di una galleria d’arte. Pur avendo visto la scena della colluttazione tra la donna e un misterioso individuo vestito completamente di nero, Dalmas non riesce a fornire prove rilevanti alla polizia; gli omicidi di altre giovane donne si susseguono a raffica, e a questo punto, anche la vita dello scrittore e della sua fidanzata Giulia sembra essere in grave pericolo… Protagonisti del film sono Tony Musante nel ruolo dello scrittore, Suzy Kendall in quello della sua fidanzata, Enrico Maria Salerno nei panni del commissario Morosini, Umberto Raho, Eva Renzi e Mario Adorf.

Nonostante la pellicola sia oggi considerata un autentico cult del genere, alla sua uscita nelle sale il primo impatto del pubblico nostrano si rivelò piuttosto freddo, ma in breve tempo gli incassi salirono notevolmente, e anche i pareri della critica si dimostrano favorevoli; “quell’italiano comincia a preoccuparmi…” dichiarò Sir Alfred Hitchcock dopo aver visto il film.
Oltre ad una storia avvincente e strutturata in modo assai originale, altri aspetti fondamentali del film si possono riscontare in una fotografia, curata dal futuro premio Oscar Vittorio Storaro, praticamente perfetta e nell’inquietante colonna sonora del maestro Ennio Morricone; l’eccelsa realizzazione tecnica e la cura maniacale per il dettaglio da parte di Argento (si scorgono non difficilmente diversi richiami allo stile registico del suo mito e maestro Sergio Leone) rendono quindi il film un vero spettacolo di suspence, che non risulta minimamente penalizzato neanche da alcuni buchi e imprecisioni nella sceneggiatura, scritta dallo stesso Argento, che diventeranno in seguito una sorta di ‘marchio di fabbrica’ di gran parte della filmografia del regista.

E’ inoltre da aggiungere che, fin da questa sua opera prima, Argento tiene a battesimo quelli che diventeranno i canoni e i caratteri del suo percorso cinematografico, su tutti: la figura dell’assassino vestito di scuro, la già menzionata cura per i dettagli e la riflessione su traumi infantili e non che hanno scatenato la furia dell’omicida in questione.

Il gatto a nove code
Nel 1971, sfruttando il notevole successo di pubblico e critica ottenuto con “L’uccello dalle piume di cristallo”, Dario torna per la seconda volta dietro la macchina da presa con un altro giallo intitolato “Il gatto a nove code”.

La storia è quella di un non vedente di nome Franco Arnò, interpretato dal premio Oscar Karl Malden (1912-2009), che, una sera, passeggiando con la nipotina davanti ad un istituto di ricerche genetiche, ascolta per caso la conversazione tra due uomini seduti in macchina. Poco tempo dopo, qualcuno si introduce nell’istituto e ruba una preziosa formula. Il giorno seguente, Arnò torna nei pressi dell’istituto dove incontra Carlo Giordani (James Franciscus) un giovane giornalista in cerca di scoop. Quando un misterioso assassino uccide il dottor Calabresi, che lavorava in quello stesso istituto, i due si mettono sulle tracce dell’omicida. Il dottore aveva scoperto la combinazione genetica dell’inclinazione alla delinquenza…

Uscito nel febbraio del ’71, “Il gatto a nove code” si rivela subito inferiore a quel capolavoro che è “L’uccello dalle piume di cristallo”, constatabile da un livello di suspence piuttosto tenue e da un ritmo piuttosto fiacco se confrontato a quello elettrizzante del precedente film.
Tuttavia, benchè lungi dall'essere considerata una delle opere più memorabili del cineasta romano, conferma ulteriormente l’incredibile abilità di Argento nel muovere la macchina da presa e inventare nuovi linguaggi cinematografici e nuove inquadrature per soddisfare il proprio voyeurismo registico che, c’è da dirlo, in quegli anni era veramente al suo massimo.

Quattro mosche di velluto grigio
A testimoniarlo sopraggiunge nel dicembre dello stesso anno “Quattro mosche di velluto grigio”, pellicola che, oltre a rappresentare una tappa fondamentale nella carriera di Argento, chiude in bellezza la celebre “trilogia degli animali” (o “trilogia zoologica”), denominata in questo modo per via di nomi di animali presenti in ognuno dei tre titoli e per il ruolo, marginale ma comunque rilevante degli stessi nel risvolto delle vicenda narrata.

In questa occasione, la storia si concentra su un giovane batterista di una rock-band di nome Roberto Tobias che, da qualche tempo, si è accorto di essere spiato e pedinato da un misterioso individuo. Una sera, dopo le prove, Roberto decide una volta per tutte di affrontarlo direttamente ma, giunti dentro un teatro completamente deserto, tra i due avviene una colluttazione, l’uomo estrae un coltello e, nel maldestro tentativo di sottrarglielo, Roberto lo uccide accidentalmente. Dentro il teatro, però, tra le ultime file della platea, si nasconde una strana figura con il volto coperto da una bizzarra maschera carnevalesca che ha fotografato l’accaduto. Tormentato dai sensi di colpa per il gesto compiuto, nei giorni seguenti Roberto inizia a ricevere le prime minacce, tra cui fotografie e oggetti appartenenti al morto. Ben presto, le minacce cominciano ad essere anche fisiche, dal momento che, una notte, il giovane viene aggredito nella sua stessa casa dall’individuo mascherato che ha assistito al fatto, e le minacce diventeranno presto veri e propri omicidi delle persone care a Roberto…

Indubbiamente, “Quattro mosche di velluto grigio” è da considerare l’opera tecnicamente meglio riuscita del regista, che ha la piena libertà di sperimentare e giocare con inquadrature e riprese virtuosistiche e costruire sequenze assai suggestive ed oniriche; su tutte, da ricordare sono quella dell’incubo ricorrente del protagonista raffigurante un immagine di un boia che si accinge a decapitare un individuo sconosciuto con una scimitarra e quella dell’incidente automobilistico finale realizzata con una macchina da presa speciale (la Pentazet).
Definito dallo stesso Argento ‘un film di ‘samba brasiliana’’, “Quattro mosche di velluto grigio” si avvale di un cast formidabile, composto da Michael Brandon nel ruolo del protagonista, Mimsy Farmer, Jean-Pierre Marielle nelle pittoresche vesti di un investigatore privato omosessuale, Stefano Satta Flores, Marisa Fabbri, Costanza Spada e Bud Spencer e Oreste Lionello che interpretano due irriverenti barboni. A tal proposito, è da menzionare anche il fatto che Argento inserisce nella sceneggiatura (che, come di consueto, abbonda di incongruenze) brevi intermezzi comici, tra cui la sequenza della mostra d’arte funeraria e il personaggio del postino interpretato da Gildo Di Marco che aveva già vestito i panni di un buffo detenuto balbuziente ne “L’uccello dalle piume di cristallo”.
Ancora una volta la splendida colonna sonora è firmata da Ennio Morricone che spazia dal rock-blues al rock progressivo, al contrario del ritmo più mistico ed inquietante dei precedenti film.

Questa pellicola, visti i notevoli problemi di distribuzione accumulati con gli anni, è inoltre la più rara e introvabile sul mercato dell’intera filmografia Argentiana, e ad oggi, l’ultimo passaggio televisivo sui canali nazionali risale al 22 febbraio 1991 su Rete 4 (per vederlo, infatti, molti hanno fatto ricorso alla pirateria on-line…). Il 26 giugno 2009, però, a 18 anni di distanza, il film è stato nuovamente trasmesso sui canali di Sky Cinema.

La porta sul buio
Nel 1973, visto l’incredibile fenomeno Argentiano esploso in questi primi anni ‘70, il regista viene contattato dalla RAI che desidera commissionargli una serie televisiva dal titolo “La porta sul buio”, composta da quattro episodi (“Il tram”, “Il vicino di casa”, “Testimone oculare” e “La bambola”) della durata di circa 1h ciascuno. Alla realizzazione del progetto collaborano insieme ad Argento, che dirige l’episodio “Il tram” sotto lo pseudonimo Sirio Bernadotte, anche i registi Luigi Cozzi (“Il vicino di casa”), che ha già lavorato con lui al soggetto de “Il gatto a nove code” e “Quattro mosche di velluto grigio”, Roberto Pariante (“Testimone oculare”) e Mario Foglietti (“La bambola”), anch’egli già collaboratore di Argento.

La cinque giornate
Nello stesso anno, Dario si vede assegnare un altro lavoro su commissione, questa volta per il cinema; inaspettatamente non si tratta di un giallo o un thriller, bensì di una commedia storica ambientata nel periodo del Risorgimento intitolata “Le cinque giornate”, basata sugli eventi realmente accaduti a Milano tra il 18 e il 23 marzo 1848, le cosiddette ‘cinque giornate di Milano’.

Benché completamente estraneo a tutto il repertorio cinematografico di Argento, “Le cinque giornate”, interpretato da Adriano Celentano e sceneggiato dallo stesso regista insieme a Nanni Balestrini, risulta comunque un prodotto interessante, che mira, più che a narrare eventi storici, a rivolgere una critica sociale e politica mettendo in scena un umorismo aspro e grottesco che, tuttavia, non convince né il pubblico né tanto meno gli addetti ai lavori.

Profondo rosso
Il 1975 si rivela, però, l’anno della definitiva consacrazione di Dario Argento come regista, con l’avvento di uno dei più grandi thriller degli ultimi 40 anni di cinema che risuona al titolo di “Profondo rosso”.

Le macabre e allucinanti vicende di questa pellicola hanno inizio una sera dentro un grande teatro dove la sensitiva tedesca Helga Ulmann sta tenendo insieme a due colleghi un congresso di parapsicologia. Improvvisamente, Helga avverte una presenza minacciosa all’interno della sala, sostenendo di sentire i suoi pensieri perversi. Poche ore dopo la fine del congresso, la sensitiva viene uccisa dallo stesso maniaco di cui aveva avvertito le malsane intenzioni; all’omicidio assiste un giovane pianista jazz di nome Marc Daly che, entrato in casa di Helga per tentare di soccorrerla, nota di sfuggita un importante particolare che, purtroppo, riuscirà a ricordare solo al momento del risvolto definitivo della vicenda, in seguito alla morte delle persone che erano venute a conoscenza, prima di lui, dell’identità dell’assassino…

Sono molteplici gli aspetti che hanno reso questo film un cult assoluto venerato ormai da milioni e milioni di cinefili in tutto il mondo, a cominciare dalla suspence praticamente onnipresente dalla prima all’ultimissima sequenza, una suspence che riduce i nervi dello spettatore letteralmente a pezzi, al punto che lo stesso prega perché la tensione si attenui e arrivi finalmente la vera e propria efferatezza; davvero pochi film sono stati in grado di porsi di fronte al pubblico in questo modo.
Un altro degli aspetti più rilevanti di “Profondo rosso” è l’ossessiva e angosciante colonna sonora firmata dai Goblin in collaborazione con il jazzista Giorgio Gaslini entrata di diritto nell’immaginario collettivo insieme alla terribile nenia infantile che precede ogni delitto. Fondamentali per il film sono anche gli effetti speciali curati da Sergio Stivaletti e dal due volte premio Oscar Carlo Rambaldi, oltre che una regia come sempre molto innovativa e ispirata che regala diverse sequenze assolutamente memorabili, tra le quali possiamo annoverare, su tutte, oltre a quelle ottimamente realizzate degli omicidi, quella in cui il protagonista si introduce nella casa della sensitiva appena assassinata e scorge all’interno di uno specchio un particolare (rivelarlo sarebbe quantomeno blasfemo!) che si rivelerà fondamentale per la soluzione del caso e quella immediatamente precedente all’omicidio del professor Giordani, il quale si vede arrivare addosso un delirante e spaventoso pupazzo meccanico, anche questo divenuto presto oggetto dell’immaginario collettivo.

Originariamente intitolato “La tigre dai denti a sciabola” con l’intento di unirlo, visto il nome di animale presente nel titolo, ai precedenti titoli appartenenti alla ‘trilogia zoologica’, Argento ha scritto la sceneggiatura del suo film culto insieme a Bernardino Zapponi, in passato già autore di diversi copioni dei film di Federico Fellini; anche in questa occasione, il regista traspone sullo schermo elementi a lui molto cari, come la riflessione in merito alla parapsicologia e ai traumi infantili che sono stati la causa scatenante della furia omicida dell’assassino, così come era stato per “L’uccello dalle piume di cristallo” e “Quattro mosche di velluto grigio”.

Ottimo anche il cast, composto dal bravissimo David Hemmings, già interprete del capolavoro di Michelangelo Antonioni, “Blow Up” (1966), affiancato dall’altrettanto brava Daria Nicolodi, moglie di Argento, nel ruolo della giornalista Gianna Brezzi, Gabriele Lavia nei panni dell’ubriacone Carlo, Macha Méril (la sensitiva Helga Ulmann), Glauco Mauri (professor Giordani), Eros Pagni (commissario Calcabrini), che è protagonista della piccola parentesi comica del film, ricorrente nei primi film di Argento e Clara Calamai (madre di Carlo).

Alla sua uscita nelle sale italiane nel marzo del ’75, “Profondo rosso” riscosse subito un notevole successo di pubblico e critica, e andò piuttosto bene anche all’estero, soprattutto in America e in Giappone, dove uscì però solo alcuni anni dopo con il titolo di “Suspiria parte II”. Tutt’oggi, rimane indubbiamente il capolavoro di Dario Argento e, nonostante i suoi 34 anni di età, risulta ancora uno dei film più inquietanti e sconvolgenti mai realizzati.

Suspiria
Nel 1977 è ancora Argento, che nel frattempo ha acquisito il soprannome di ‘Darione’, a lasciare il segno; arriva così il debutto nel genere horror con “Suspiria”, un altro film che viene tutt’oggi annoverato tra i suoi migliori.

La storia è quella di una giovane ballerina di danza classica di nome Susy Benner che, volendo perfezionare i suoi studi di balletto, si reca presso la prestigiosa scuola di danza di Friburgo, in Germania. La sera stessa del suo arrivo, una ragazza che proprio in quel momento stava uscendo dalla scuola, asserisce frasi apparentemente sconnesse e prive di senso, che Susy, a causa del gran temporale, percepisce solo a malapena. Poco dopo, la ragazza viene brutalmente uccisa insieme alla sua compagna di stanza. Presto nella scuola cominciano a susseguirsi avvenimenti piuttosto strani, al punto che la giovane Susy scoprirà che all’interno di essa c’è qualcosa di malefico…

Uscito in Italia nel febbraio del ’77, “Suspiria” apre le porte ad una delle trilogie horror più celebri della storia del genere, la ‘trilogia delle tre madri’ (Mater Sospiriorum, Mater Tenebrarum, Mater Lacrimarum), la seconda nella carriera di Argento dopo quella degli animali.
Analogamente a tutti i suoi primi film, anche in “SuspiriaDarione ripone grande importanza soprattutto sugli aspetti puramente tecnici, privilegiando la maniacale cura per il dettaglio e la perfezione stilistica e visiva, tralasciando visibilmente la logica narrativa che, tuttavia, almeno per ora non ha mai rappresentato un handicap, né per gran parte del pubblico né tanto meno per il regista, causando però alcune noie in particolar modo alla critica che giudica lo stile di Argento fin troppo esaltato e addirittura compiaciuto.

Grazie ad una magistrale fotografia (realizzata con il Technicolor) di Luciano Tovoli e ad un’incantevole e affascinante scenografia di Giuseppe Bassan, “Suspiria” risulta un vero e proprio spettacolo di luci e colori che rendono le sequenze già assai cruente degli omicidi ancor più vivide e spettacolari, grazie anche al sostegno dell’agghiacciante colonna sonora composta dai Goblin in collaborazione con lo stesso Argento entrata anch’essa, come nel caso di quella di “Profondo rosso”, nell’immaginario collettivo di tutti gli amanti del genere.

Traendo ispirazione da un racconto dello scrittore Thomas De Quincey e da numerose fiabe classiche (tra cui “Biancaneve” e “Barbablù”), Argento traspone nella sceneggiatura, scritta in collaborazione con la moglie Daria Nicolodi, molte delle sue ossessioni già presenti nei suoi precedenti lavori, una su tutte, l’attrazione per l’occulto, già marginalmente affrontata in “Profondo rosso” nella sequenza del congresso di parapsicologia e qui portata praticamente allo stremo con l’argomento della stregoneria e della magia nera.

In riferimento all’ispirazione fiabesca che ha contribuito alla nascita di “Suspiria”, è da notare il particolare scenografico delle maniglie delle porte posizionate visibilmente più in alto rispetto alle normali porte domestiche con le quali abbiamo a che fare ogni giorno; questo perché, in origine, lo script prevedeva che le protagoniste femminili del film fossero esclusivamente bambine, ma vista la bocciatura dell’idea da parte della produzione, Argento dovette optare per delle ragazze ormai cresciute, mantenendo però il carattere infantile e fiabesco che dona al film quel pizzico di fascino e mistero in più dimostrando che, con i giusti mezzi, un genere da sempre visto (soprattutto dalla critica) con molto pregiudizio come l’horror può fondersi alla perfezione anche con un altro genere (in questo caso più letterario che cinematografico) molto più venerato come l’animazione e/o il fantastico.

Anche in questa occasione, il regista si affida ad un cast che comprende sia attori italiani che stranieri quali Jessica Harper nel ruolo della protagonista Susy Benner, Stefania Casini, Joan Bennett, Alida Valli, Flavio Bucci, Miguel Bosè e Udo Kier.

Inferno
Dopo un’altra parentesi come compositore musicale insieme ai fedeli Goblin del cult Romeriano “Zombi – Dawn of the Dead” (1978), Darione apre subito il nuovo decennio con il secondo capitolo della ‘trilogia delle tre madri’ dal titolo “Inferno”, un ideale sequel del convincente “Suspiria” di tre anni prima.

Ambientata a New York, la storia è incentrata su una poetessa di nome Rose Elliot che acquista un antico libro intitolato ‘Le Tre Madri’, nel quale l’autore, Emilio Varelli, racconta di aver costruito tre case (una a Friburgo, una a New York e una a Roma) per le rispettive Madri. A questo punto, Rose inizia a temere che il suo palazzo sia in realtà il covo di Mater Tenebrarum, così, chiede aiuto al fratello Mark. Intanto, questa si avventura nei sotterranei del palazzo, dove scoprirà delle verità agghiaccianti…

Benché il film conservi il solito fascino visionario tipico di Argento e pur avvalendosi del notevole contributo tecnico agli effetti speciali di Germano Natali e del grande Mario Bava, scomparso poi alcuni mesi a seguire, e alle musiche di Keith Emerson, viene comunque considerato minore rispetto allo stupefacente “Suspiria”, soprattutto per via di numerose lacune presenti nella sceneggiatura che cominciano a farsi sentire. Tuttavia, nonostante alcuni pareri contrastanti, la pellicola riceve un’accoglienza, in particolar modo da parte del pubblico, piuttosto entusiastica, rendendola, ancora oggi, molto apprezzata tra i cultori del genere.

Tenebre
Solo due anni più tardi, accantonando momentaneamente l’horror, Darione torna di nuovo alla ribalta con il genere cinematografico a lui più congeniale: il giallo.

Il suo 8° lungometraggio si intitola “Tenebre”, e narra la storia di un noto scrittore americano di nome Peter Neal che viene convocato a Roma dal suo agente per promuovere il suo nuovo libro intitolato appunto “Tenebre” (TENEBRAE). Poco dopo il suo arrivo, però, inizia a ricevere inquietanti telefonate anonime, e presto si susseguono una serie di delitti che, in apparenza, sembrano collegati proprio a lui, dato che, nella bocca di ognuna delle vittime, viene ritrovata una pagina strappata dal suo libro.

Adottao.

Adottando una struttura narrativa molto simile a quella dei suoi primi gialli, Argento confeziona una delle sue opere più avvincenti e coraggiose, dove ripropone ancora una volta il suo inarrivabile e sempre affascinante gusto estetico sia per quanto riguarda la tecnica che la costruzione sempre più accattivante ed atroce degli omicidi e anche in questa occasione ci conferma la sua abilità nell’amalgamare nel cast volti nostrani più o meno noti (il grande Giuliano Gemma, Christian Borromeo, Mirella D’Angelo, Veronica Lario, Ania Pieroni, Daria Nicolodi…) a presenze internazionali (Anthony Franciosa nel ruolo del protagonista, John Steiner, John Saxon, Lara Wendel…).

Al contrario del precedente “Inferno”, con “TenebreArgento torna a mettere d’accordo pubblico e critica, che non esitano a considerare questo come uno dei prodotti più validi nonché più ambiziosi della filmografia del regista romano.

Phenomena
L’atmosfera temporaneamente idilliaca non viene offuscata neanche tre anni più tardi con l’uscita di “Phenomena”, un traguardo assai importante per la carriera di Darione che realizza un’opera potente spaziando dal thriller all’horror passando per il fantasy.

Protagonista del film è una studentessa americana di nome Jennifer Corvino, che viene mandata dal padre, il famoso attore Paul Corvino, in un collegio in Svizzera, precisamente nella parte denominata ‘Transilvania della Svizzera’.
Da qualche tempo, però, un pericoloso assassino si aggira per il collegio trucidando giovani fanciulle sprovvedute, e presto anche la vita di Jennifer pare essere in grave pericolo; la ragazza è però dotata di straordinari poteri entomologici, che le permettono di comunicare con gli insetti. Con l’aiuto di questi e del professor John McGregor, riuscirà ad avvicinarsi all’identità dell’assassino…

Grazie anche al notevole contributo agli effetti speciali del geniale Sergio Stivaletti, a quello nella colonna sonora di artisti come gli Iron Maiden, i Motörhead, Bill Wyman e Claudio Simonetti dei Goblin e a quello nel cast di attori del calibro di Jennifer Connelly (allora giovanissima), il grande Donald Pleasence, Daria Nicolodi, Dalila Di Lazzaro, Patrick Bauchau e Fiore Argento (primogenita del regista), “Phenomena” è considerata tutt’oggi una delle migliori prove dietro la macchina da presa di Dario Argento, che costruisce un’opera caratterizzata da una raro fascino visionario che fa da sfondo ad una narrazione tesa e accattivante, che mette d’accordo, probabilmente per l’ultima volta nella carriera del regista, pubblico e critica.

La sceneggiatura di Demoni e Demoni 2
Il 1985 non è però un anno totalmente roseo per Darione, dato che, il 19 giugno, lui e la compagna Daria Nicolodi vengono arrestati per possesso di 23g di cocaina; dopo aver trascorso un paio di notti nel carcere di Regina Coeli verranno assolti in quanto l’uso era solo personale e non si trattava di spaccio.

Nello stesso anno produce e collabora insieme a Franco Ferrini, Dardano Sacchetti e Lamberto Bava alla stesura dell’horror “Demoni”, diretto proprio da quest’ultimo, e fa lo stesso per il seguito, “Demoni 2 – L’incubo ritorna” (1986), sempre diretto da Bava.

(continua)
Francesco Manca
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