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I LICANTROPI

Insieme con il vampiro, la figura dell’uomo lupo o licantropo affonda le sue origini nella tradizione popolare, praticamente in ogni parte del mondo sono rintracciabili racconti, raffigurazioni e leggende di bestie dai tratti umani o di uomini e donne che si mutano in animali. Tralasciando le volpi ed i gatti mannari dell’Estremo Oriente, i “Berserker” della tradizione Germanica (guerrieri che si rendevano invincibili indossando una pelle di lupo o di orso, efficacemente ritratti in numerose tavole di disegnatori quali Frank Frazetta e Boris Vallejo) e più in generale tutte quelle metamorfosi non chiaramente licantropiche, uomini-bestia possono essere già rintracciati nelle pitture e bassorilievi Egizi, ma è sicuramente l’evoluzione Europea del mito ad aver creato la mitologia del “Lupo Mannaro” così come la conosciamo oggi. In un’incisione medioevale del pittore Tedesco Lucas Cranach il Vecchio, un essere peloso, che indossa ancora i vestiti, fugge con un neonato tra le fauci dopo aver sbranato e fatto a pezzi altre sfortunate vittime, mentre un’opera di Maurice Sand della metà del 1800, dall’esplicativo titolo di “Le Loup-Garou”, rappresenta un viandante mentre tenta di fuggire dall’assalto di una creatura dall’aspetto di lupo. Nella letteratura la figura dell’uomo che si trasforma in lupo risale alla mitologia Greca e Romana: Publio Ovidio Nasone, noto ai più per aver scritto “Ars Amatoria”, nel suo poema epico-mitologico “Le Metamorfosi”, racconta la storia di Licaone, re dell’Arcadia, da cui il termine “Licantropia”, che ricevuta la visita di Zeus, volendo appurare se il suo ospite fosse realmente un Dio, gli servì la carne di un bambino o, secondo altre versioni, quella di uno dei propri figli. Zeus, indignato per tale pasto, rovesciò la tavola per la collera e trasformò Licaone in un lupo. Questa leggenda, oltre a dimostrare come il moderno e bistrattato “Slasher” cinematografico abbia avuto natali illustri, deve essere messa in rapporto con l’usanza dei sacrifici umani celebrati in onore di Zeus Licio in Arcadia. Qui, infatti, una vittima umana veniva immolata ed i celebranti divoravano le sue viscere.

Sul grande schermo però, il personaggio del licantropo non ha radici in insigni tomi letterari, così come è invece accaduto per altri popolari mostri del cinema Horror (Dracula, Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Frankenstein) ma, a voler rimarcare le sue origini proletarie e contadine, a differenza dell’aristocratico Conte Dracula, è il frutto della fantasia degli sceneggiatori Hollywoodiani. Il debutto su celluloide risale al 1913 con “The Werewolf”, un cortometraggio di 18 minuti di Henry McRae che, traendo spunto da un’antica leggenda Navajo, racconta che cento anni dopo essere stata uccisa da un frate, Watuma, la figlia di una strega indiana, esce dalla tomba e, mutatasi in lupo, porta a termine la sua vendetta, ma il primo vero lupo mannaro della storia del cinema non farà la sua comparsa sulle scene fino al 1935 con “Il segreto del Tibet”, ad opera di Stuart Walker.

Dopo il successo di “Dracula” e “Frankenstein”, rispettivamente nel 1930 e nel 1931, la Universal cominciò la ricerca di un nuovo Horror hit da presentare al pubblico e commissionò allo scrittore/regista Francese Robert Florey un soggetto dal titolo di “The Wolf Man”, inizialmente pensato per Boris Karloff. La sceneggiatura originale venne rimaneggiata più volte e quando nel 1935 lo Studio si decise ad iniziare le riprese, il celebre interprete del mostro di Frankenstein era impegnato su un altro set e l’allora boss della Universal, Carl Laemmle, si rivolse quindi all’attore Henry Hull per il ruolo dello sfortunato botanico che viene morso in Tibet da un lupo mannaro. Questa prima avventura crea tutta una serie di leggi sulla mitologia “licantropica” molto differenti da quelle che siamo abituati a conoscere: l’unico antidoto contro l’orribile metamorfosi è la “Mariphasa lupina lumino”, un rarissimo fiore che sboccia solo sotto i raggi lunari, non occorrono proiettili d’argento per ucciderlo, ma è sufficiente il più volgare piombo ed inoltre, elemento piuttosto inusuale, questo “Wolfman” può parlare!

Nel 1941 il regista e sceneggiatore Tedesco Curt Siodmak scrive, per la regia di George Waggner, il primo vero classico del genere: “L’Uomo Lupo”, il film introduce uno dei personaggi più amati della cinematografia Horror: il tragico Larry Talbot, portando alla notorietà il suo interprete, Creighton Tull Chaney, da tutti conosciuto come Lon Chaney Jr. (figlio della famosa star del muto Lon Chaney Sr.), insieme al geniale truccatore Jack Pierce che qui, a differenza che nel film precedente, dove un insofferente Henry Hull aveva limitato il suo estro, può finalmente dare libero sfogo alla sua creatività realizzando uno dei make-up più originali e strabilianti della storia del cinema. Mascherato durante le riprese sotto il titolo di “Destiny”, il lavoro di George Waggner, anche lui cineasta di origine Tedesca, racconta le disavventure di Lawrence Talbot che, di ritorno alla casa paterna in Galles, viene morso da un licantropo (un grande Bela Lugosi, altra icona del cinema Horror) nel corso di una locale festa di zingari. Contagiato dal terribile morbo, dopo aver ucciso un becchino ed aver attaccato la propria fidanzata (Evelyn Ankers) durante la sua trasformazione in Lupo, finirà braccato dagli abitanti del posto ed ucciso dal padre, Sir John Talbot, che non riconoscendolo lo colpisce con un bastone dal pomo d’argento.

Claude Rains nel ruolo del padre di Larry, più noto al grande pubblico, venne accreditato come principale star del film, ma memorabile è l’interpretazione dell’intensa caratterista Maria Ouspenskaya che, nelle vesti della zingara Maleva, sottolinea le origini profondamente radicate nella tradizione popolare del mito del “Wolf Man”. Costato poco meno di 180.000 dollari, “L’Uomo Lupo” ne rese alla Universal oltre venti milioni, convincendo lo Studio a metterne in cantiere il sequel nel 1943: “Frankenstein contro l’Uomo Lupo” fu la prima storia della “Major” Hollywoodiana a mettere a confronto più mostri, secondo la teoria che “più sono, meglio è!”, qui la tomba di Larry Talbot viene profanata da due ladri, ed il suo corpo, esposto alla luce della luna, torna in vita. Aiutato dalla zingara Maleva, interpretata nuovamente da Maria Ouspenskaya, Larry cerca una fuga dalla maledizione che lo ha colpito, incontrando nella sua ricerca Elsa (Ilona Massey) la figlia del Dottor Frankenstein e la temibile creatura creata dal padre, congelata in un blocco di ghiaccio. Nel prevedibile finale i due mostri verranno travolti dall’acqua della locale diga, fatta saltare dall’oste del villaggio. Scritto ancora da Siodmak, ma affidato alla sapiente regia di Roy William Neill, un veterano dei “B-movies”, con George Waggner in veste di produttore, “Frankenstein contro l’Uomo Lupo” prevedeva inizialmente che Lon Chaney interpretasse entrambi i ruoli, ma vista la difficoltà di tale impresa Bela Lugosi, allora sessantenne, venne chiamato a dare il volto alla creatura. Per la prima volta il pubblico potè assistere alla straordinaria trasformazione di Talbot in lupo (nella pellicola precedente veniva mostrato il processo inverso) ed il make-up di Jack Pierce, realizzato utilizzando peli di yak importati appositamente dall’Oriente ed esaltato dagli effetti ottici di dissolvenza di John P. Fulton, fu ulteriormente perfezionato.

Secondo una pratica oggi ormai consueta da parte degli Studios, la Universal riportò nuovamente in vita l’Uomo Lupo, sempre interpretato da Lon Chaney Jr, insieme al Mostro di Frankenstein, al Conte Dracula ed a scienziati folli e gobbi vari in: “Al di là del Mistero” (1944) e “La Casa degli orrori” (1945), unica entry della serie in cui Talbot riesce a liberarsi della maledizione e ad allontanarsi verso una nuova vita con Martha O’Driscoll. Il canto del cigno per Lawrence Stewart Talbot arriva nel 1948 con “Il cervello di Frankenstein”, in cui i pur simpatici Bud Abbott e Lou Costello (noti in Italia come Gianni e Pinotto) deridono i celebri mostri della Universal facendone una delle loro parodie. A causa di un incidente occorso all’attore Glenn Strange che si ruppe un piede, Chaney lo sostituì nella parte della creatura di Frankenstein in alcune scene, esaudendo così brevemente il precedente desiderio dei produttori di affidargli entrambe le parti.

Il successo ottenuto dal nuovo Mostro della Universal spinse anche le altre case di produzione concorrenti a realizzare pellicole con protagonista l’Uomo Lupo, la P.R.C. gira così in soli cinque giorni il mediocre “Il Mostro Pazzo” (1942) in cui la metamorfosi è causata dai folli esperimenti di uno scienziato (George Zucco) che inietta in un povero ritardato (Glenn Strange) il sangue di un lupo, sperando così di creare il prototipo per un esercito di “Wolfmen” da utilizzare in guerra contro i Nazisti!?! Mentre la 20th Century Fox trae da “Il Mostro Immortale”, un romanzo di Jessie Douglas Kerruish, “The Undying Monster” (1942), dove la maledizione viene tramandata da generazioni tra i componenti della famiglia Hammond.

Così come per il mostro di Frankenstein Hollywood non potè tralasciare la versione femminile del mito e sempre nel 1942 Jacques Tourneur gira per la RKO un piccolo “Cult Movie” del genere: “Il Bacio della Pantera”, qui il mito affonda le sue radici in alcune leggende dell’Est Europeo che favoleggiano di un’antica razza di donne gatto le quali, se turbate dalla passione, subiscono la mutazione in pantere. Optando per un terrore più psicologico che mostrato (la trasformazione viene solo suggerita allo spettatore e rimane il dubbio sulla sanità mentale della protagonista), Tourneur ed il produttore Val Lewton costruiscono alcune tra le più suggestive sequenze del cinema horror, con la memorabile scena in cui Alice (Jane Randolph), antagonista di Irena (Simone Simon) nel cuore dell’architetto Reed, viene minacciata in piscina da un felino che si muove nell’ombra (in realtà la mano del regista agitata davanti a un riflettore). Un’esotica Nina Foch è invece Celeste La Tour, regina degli zingari, che in “Cry of the Werewolf” (1944), diretto da Henry Levin, eredita dalla madre il morbo della licantropia.

Gli anni ’50 sono avari del nostro mostro preferito, il cinema del dopoguerra, terrorizzato dall’atomica, volge il suo interesse alle mutazioni genetiche, creando insetti giganti ed anche le scarse apparizioni dell’irsuta creatura hanno origini scientifiche, così ne “Il Mostro della California” (1956) la vittima di un incidente automobilistico viene utilizzata come cavia da due scienziati che, sperando di trovare una cura contro le radiazioni atomiche, lo mutano in un uomo lupo, stessa sorte tocca ad un giovane liceale (Michael Landon) in “I was a teenage Werewolf” (1957), girato in soli sette giorni, e nel quasi re-make “How to make a Monster” (1958), dove un truccatore licenziato da Hollywood si vendica dei suoi ex datori di lavoro applicando agli attori che interpretano la creatura di Frankenstein e l’Uomo Lupo, delle maschere imbevute di una potente droga, inducendoli a comportarsi come i mostri da loro interpretati. Sono invece le radiazioni di un meteorite a causare la mutazione in una creatura, a metà tra un licantropo ed un uomo delle caverne, del giovane Stephen Parker in “Teenage Monster” (1957), lasciando così all’inguardabile pellicola Messicana “El castillo de los Monstruos” (1957) il compito di riportare sullo schermo l’Uomo Lupo classico, qui affiancato da un vampiro, una mummia, dalla creatura di Frentenstein (il nome venne cambiato per non dover pagare i diritti sul romanzo di Mary Shelley) e dal Mostro della Laguna Nera, tutti creati da uno scienziato pazzo in questo rifacimento non autorizzato de “Il cervello di Frankenstein”.

I cospicui incassi ed il proliferare di pellicole sulla pelosa creatura cui aveva dato vita la Universal non potevano certamente lasciare indifferente l’antagonista “Hammer”, casa di produzione Inglese che dal finire degli anni ’50 si specializzò nel genere da noi amato, così dopo Frankenstein, Dracula, la Mummia ed il Dottor Jekyll, Terence Fisher dirige “L’implacabile Condanna” (1961), andando a recuperare le origini del mito il regista Britannico dona nuova vitalità al personaggio, ormai appannato da parodie e “Z – Movies”, consegnando agli spettatori un nuovo classico della cinematografia Horror. Liberamente adattato da un racconto di Guy Endore del 1933: “The Werewolf of Paris”, la storia beneficia del Technicolor e di una straordinaria interpretazione di Oliver Reed, qui al suo primo ruolo di rilievo, affiancato dai bravi caratteristi Clifford Evans ed Ivonne Romain. Secondo un sistema ormai collaudato la “Hammer” caratterizza la storia con gli elementi ormai distintivi delle sue produzioni: violenza, sangue ed erotismo, sempre funzionali alla storia e senza dimenticare l’approfondimento dei personaggi. La figura di Leon, contagiato fin dalla nascita dalla Licantropia, nato il giorno di Natale da una domestica sordomuta in seguito allo stupro di un mendicante, è una delle più tragiche e maledette del cinema del terrore, la violenza e gli elementi religiosi legati al cristianesimo introdotti ne “L’implacabile Condanna” causarono al film numerosi problemi di censura, che in Spagna venne bandito fino al 1976, mentre sia la versione nazionale che quella per il mercato Statunitense vennero pesantemente tagliate.

Anche la “Amicus”, altra casa di produzione Inglese, dà spazio alla Licantropia in un episodio de “Le cinque chiavi del Terrore” (1965), dove compare un’insolita donna lupo e perfino il Messico pesca a piene mani nel filone e uomini lupo più o meno risibili fanno la loro comparsa contro vampiri ed altre mostruosità varie ed in assurdi incontri di “Catch” con i lottatori più noti del paese di Pancho Villa, in una miriade di fantasiosi titoli tra cui citiamo, solo per dovere di completezza: “Blue Demon: El Demonio Azul” (1963), “La casa del Terror” (1960) con Lon Chaney Jr. nella parte di una mummia/licantropo!?! “La Loba” (1964), “Santo y Blue Demon contra los Monstruos” (1968) e "Frankenstein, el Vampiro y CIA” (1961). Improbabili “Werewolves” alle prese con bellezze discinte fanno la loro apparizione in: “House on bare mountain” (1962), “Dracula - the dirty old man” (1969) e “Lycanthropus” (1961), una misconosciuta co-produzione Italia/Austria, diretta da Paolo Heusch, sparita dai nostri schermi poco dopo la sua distribuzione.

Gli anni ’60 vedono anche la nascita di uno degli uomini lupo più longevi dell’ Horror Europeo: il nobile Polacco Waldemar Daninsky, legato lungo tutto l’arco della sua carriera al suo ideatore ed interprete, l’attore Spagnolo Jacinto Molina, alias Paul Naschy, che lo portò sullo schermo per ben 12 volte.

l successivo decennio aggiunge poco al mito dell’Uomo bestia e, con l’eccezione del modesto “Mai con la Luna Piena” (1973), curiosa metafora horror sui conflitti genitori-figli, o del “mystery thriller” Britannico “The Beast must die” (1974) in cui, un pò come accade nei gialli di Sherlock Holmes, seguiamo le indagini di un milionario con la passione della caccia per scoprire quale dei suoi ospiti è un Licantropo, il filone dei figli della luna sembra ormai inaridito ed incapace di rinnovarsi. Joe Dante con “L’Ululato” (1980) e John Landis con “Un Lupo Mannaro Americano a Londra” (1981) portano nuova linfa al mito, generando ancora interesse nei confronti del “Werewolf”; entrambe le pellicole miscelano horror e “black humor”, riuscendo nel difficile compito di terrorizzare e divertire allo stesso tempo, coraggiosamente mostrano le mutazioni in un sofferto e lunghissimo primo piano dove, a differenza dell’Uomo Lupo dell’Universal, la metamorfosi non viene più tenuta coperta da chiaroscuri e dissolvenze, ma ci viene offerta in ogni più piccolo dettaglio. Dante presenta la sua creatura come un emarginato, un diverso, ma diverso suo malgrado, che cosciente di questa sua alienità diventa un infelice: su di lui si alza il dito accusatore della Società, quella dei supposti “normali”, la Società che scaccia ed esilia questi esseri, relegandoli in una colonia, alla ricerca di un reinserimento, un ritorno alla normalità ed una cura alla malattia che li ha colpiti. Decisamente più caustico è invece Landis, non ci può essere redenzione per il giovane David se non nella morte, caldeggiata più volte dall’amico zombie e, come Larry Talbot e Waldemar Daninsky, anche il lupo mannaro del regista Statunitense è destinato alla solitudine, perchè la maledizione gli impedisce di amare ed essere riamato.

Di tutt’altro registro è “In compagnia dei Lupi” (1984), di Neil Jordan, che utilizza i licantropi solo come pretesto per realizzare una surreale versione freudiana per adulti della favola di “Cappuccetto Rosso”, Paul Schrader tenta un remake più esplicito ma riuscito solo a metà, de “Il bacio della Pantera” (1982) affidandosi alla sensuale e conturbante Nastassia Kinski ed anche Stephen King si dedica al figlio della Luna traendo da un proprio racconto la sceneggiatura del deludente “Unico indizio la Luna Piena” (1985). Il nostro peloso amico ritorna in guisa di vigilante nel curioso “Eclisse Letale” (1993), in cui Mario Van Peebles e Patsy Kensit fanno parte di una licantropica e segreta squadra di polizia intenta a ripulire dalla delinquenza la città di Los Angeles, ed anche Jack Nicholson è affascinato dagli istinti erotici del lupo in “Wolf, la bestia è fuori”.

Il nuovo millennio ci porta l’originale trilogia di “Ginger Snaps” (in Italia “Licantropia”), avvincente e disperata ricerca di una cura al contagioso maleficio delle sorelle Fitzgerald, la saga Canadese presenta ancora il “diverso”, l’emarginato, Ginger e Brigitte (le bravissime Katharine Isabelle ed Emily Perkins) sono due “outsiders”, due individualiste che non vengono accettate dai loro coetanei e addirittura considerate tossicodipendenti. Miscelando abilmente “La notte dei morti viventi” con “Aliens” l’anglosassone Neil Marshall confeziona con “Dog Soldiers” (2002) il miglior “Werewolf” movie dell’ultimo decennio, anche se il punto di vista è quello dei soldati, in una lotta all’ultimo respiro per la sopravvivenza, ma il lupo mannaro oggi portato sullo schermo da Hollywood, sopravvissuto alle pallottole d’argento e ad agguerriti cacciatori di mostri, è molto diverso da quello del vecchio Lon Chaney Jr, come dimostra la saga iniziata da “Underworld” (2003), ormai perfettamente a suo agio in un mondo in cui i diversi, gli esclusi sono gli esseri umani, la metamorfosi ormai è completa!
Roberto E. D’Onofrio
di Lucas Cranach il Vecchio
Henry Hull
Lon Chaney Jr.
Frankenstein contro l'Uomo Lupo
Il cervello di Frankenstein
Il Mostro Immortale
The Undying Monster
Il bacio della pantera
Cry of the Werewolf
Il Mostro della California
I was a teenage Werewolf
How to make a Monster
Teenage Monster
El castillo de los Monstruos
L'implacabile Condanna
La casa del Terror
La Loba
Santo y Blue Demon contra los Monstruos
Frankenstein, el Vampiro y CIA
House on bare mountain
Dracula - the dirty old man
Lycanthropus
Paul Naschy
Los monstruos del terror
Mai con la Luna Piena
The Beast must die
L'ululato
Un Lupo Mannaro Americano a Londra
In compagnia dei Lupi
Il bacio della Pantera
Wolf, la bestia è fuori
Licantropia
Dog Soldiers
Underworld
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