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IL CALCIO COME FORMA DI SPETTACOLO CINEMATOGRAFICO

Già tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento quando nascevano le prime sale cinematografiche e le prime squadre di calcio, cominciavano a prendere forma nell’immaginario collettivo italiano, e non solo, due straordinarie macchine per sognare. Una sviluppata su pellicola e nelle sale, l’altra su un campo di terra e negli stadi. Due mondi diversi, arte e sport, che parallelamente si nutrivano della stessa essenza: lo spettacolo. Non tutto ovviamente di uguale livello qualitativo, ma in entrambi i casi si parlava certamente di forme culturali.

Il cinema soprattutto nel nostro Paese, ha fatto fatica a penetrare l’universo calcistico, riuscendo invece, piuttosto abilmente, a utilizzare le immagini per disegnare quadri di costume, contesti, psicologie e conflitti che attraversavano l’Italia contemporanea.
Una rassegna senza pretesa di voler essere in qualche modo esaustiva, trova il suo vero e proprio capostipite in un film del 1932 intitolato Cinque a zero di Mario Bonnard, divo prestigioso del cinema muto italiano passato in seguito alla regia. Nel film il calcio è centrale, ma non esclusivo. E già compaiono alcuni motivi destinati a durare nella rappresentazione cinematografica del football: l’ambiente calcistico, i tifosi, le belle donne, il ruolo dei media, l’arbitro.

Negli anni Cinquanta esce sugli schermi Gambe d'oro (1958) del regista Turi Vasile, i1 primo film sul calcio ad essere ambientato in Meridione. Impreziosito dalla presenza di Totò, la pellicola propone una simpatica panoramica sui temi del football minore. Nel 1963, l’episodio Che vitaccia! all’interno del film I mostri (Dino Risi, 1963), narra invece le vicende di un tifoso (Vittorio Gassman) che non riesce a resistere alla passione per lo stadio e spende gli ultimi spiccioli rimasti per andare a vedere la partita.

Negli anni Settanta si rintracciano alcune indimenticabili pellicole. Mentre Franco Franchi e Ciccio Ingrassia interpretano una delle loro infinite parodie, I due maghi del pallone (Mariano Laurenti, 1970), omaggio a Helenio Herrera allenatore dell’Inter e al suo alter-ego milanista ovvero il “paron“ Nereo Rocco, Lando Buzzanca ne L’arbitro (D’Amico, 1974) manda all’aria il proprio matrimonio a vantaggio della sua carriera sportiva dai risvolti tragicomici.

Alberto Sordi poi, ne Il Presidente del Borgorosso Football Club (Luigi Filippo D’Amico, 1970), è un vulcanico presidente che vuole portare alla vittoria la sua squadra. Nel film c’è pure un cammeo del fantasista juventino Omar Sivori oltre alla presenza di Tina Lattanzi, la doppiatrice della Dietrich, della Garbo e della Crawford. Poi due episodi curiosi. Il primo è un documentario Il profeta del goal (1976), che traccia un profilo approfondito del fuoriclasse olandese Johan Cruyff, diretto dal leggendario cronista Sandro Ciotti. Il secondo è un quadretto molto soft che affronta il tema del calcio femminile, Spogliamoci così senza pudor… (Sergio Martino, 1976) con Enrico Montesano.

Ma sono gli anni Ottanta, sull’onda dei successi della nazionale italiana, i veri protagonisti della commedia calcio-cinematografica. Indimenticabili, e diventati col passare del tempo veri cult, titoli come Zucchero, miele e peperoncino (Martino, 1980) con la contrapposizione tra laziali e romanisti, Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (Pingitore, 1983) con Pippo Franco e Alvaro Vitali, Paulo Roberto Cotechinho centravanti di sfondamento (Cicero, 1983) dove, ancora lo stesso Vitali indossa maglietta e calzoncini e prova a proporsi come fuoriclasse straniero o Al bar dello sport (Massaro, 1983) con il muto Jerry Calà che vince al totocalcio con l’amico Lino Banfi emigrato nella cornice torinese.

Ma l’apoteosi si raggiunge con L’allenatore nel pallone (Martino, 1984), film che più di tutti sintetizza il cinema di cui si sta discutendo. Oronzo Canà (ancora nell’interpretazione di Lino Banfi), la sua bi-zona e la sua dialettica sono entrati nella storia. Una grande parodia di un mondo già macchiato dal calcio scommesse e dai condizionamenti del dio denaro. Dello stesso regista è pure Mezzo destro, mezzo sinistro – Due calciatori senza pallone (1985) con Gigi e Andrea. Quindi la saga dei fratelli Vanzina con due titoli esemplari, I Fichissimi (1981) ed Eccezziunale…veramente (1982). Nel primo, Jerry Calà e Diego Abatantuono si scontrano/incontrano nella Milano rossonerazzurra, nel secondo Abatantuono è protagonista di tre storie alternate e contemporaneamente è un tifoso di Milan, Inter e Juventus. L’attore è anche protagonista/icona del cinema di Gabriele Salvatores. Sia in Marrakech Express (1989) che in Mediterraneo (1990), il calcio assume connotati simbolici e generazionali. E’ un momento comunitario, un gioco tra amici, un’emozione da condividere. Un po’ come accade nel cinema di Nanni Moretti. Anche qui i flash sul calcio aiutano a riscrivere l’identikit di una generazione. Da Io sono un autarchico (1976) a Ecce Bombo (1978) fino a Bianca (1984) e La messa è finita (1985), si sente come il calcio sia in qualche modo esperienza evocativa, nostalgica e custode della memoria. Moretti è capace di inserire tra i miti degli anni Sessanta Altafini e Rivera, mentre considera la Juve, prima del ’68, l’acme dell’intelligenza collettiva.

Sempre a proposito di memoria si possono citare pellicole come Ultimo minuto di Pupi Avati (1987), il calcio visto da dietro le quinte, e Italia-Germania 4-3 (Barzini, 1990) dove tre amici si ritrovano a vedere la mitica partita di Mexico ’70 e parlano della loro vita.

E neppure mancano i film impregnati di tifo e violenza. Nel 1988 è Marco Tullio Giordana a dirigere Appuntamento a Liverpool, film che prende spunto dalla tragedia dell’Heysel. Oppure Ultrà (Ricky Tognazzi, 1991) che affronta esplicitamente la questione della violenza negli stadi e accetta il confronto con i giovani che ne sono protagonisti.

Appartenente alla storia più recente, invece, è L’uomo in più (2001) esordio alla regia di Paolo Sorrentino, che mette a confronto i fallimenti e le vicende di un cantante e di un calciatore.

All’estero le cose vanno invece diversamente. I due giocatori più forti di sempre, Pelè e Maradona, rappresentano in qualche modo la contaminazione esemplare di calcio e cinema. Il popolare numero dieci brasiliano, a cui è stato dedicato il documentario Pelè Forever, all’ultimo Festival di Cannes ha ricordato di aver già provato l’esperienza dietro la macchina da presa. E infatti era già stato tra i protagonisti di Fuga per la vittoria (John Huston, 1981) nei panni di un prigioniero in un campo di concentramento. Al suo fianco non solo Sylvester Stallone che para un rigore, ma pure un’intera schiera di vecchie glorie come Bobby Moore, Osvaldo Ardiles e Hallvar Thorensen.

Il numero dieci argentino, invece, a parte la seconda carriera che sta vivendo ultimamente da presentatore (conduce in Argentina La noche del dieci), sarà protagonista del film Maradona by Kusturica diretto da Emir Kusturica. In effetti solo il regista bosniaco con la sua genialità visiva (o al massimo Quentin Tarantino) avrebbe potuto portare sul grande schermo le prodezze e i problemi del pibe de oro. Amico nella vita, Kusturica ha affiancato Maradona pure nelle manifestazioni politiche in Sudamerica contro gli Stati Uniti.

Fuori dall’Italia, come si è visto, il calcio viene rappresentato sui terreni di gioco. Rimane sempre un fenomeno sociologico e simbolico, ma più frequentemente la macchina da presa si concentra sulle singole azioni e i risultati non sono esaltanti, tranne in pochi casi. Non tutti i film, cioè, sono come il fulminante e delirante Shaolin Soccer - Arbitri, rigori e filosofia zen (Siu Lam Juk Kau, Stephen Chow, 2001) deviante visione del mondo del pallone, completamente stravolto dai calci e dal punto di vista dei combattenti Shaolin. Un frullato demenziale e comico, completamente assurdo e allucinato che ha nella versione italiana il doppiaggio di giocatori di Lazio e Roma.
La madrepatria di questa “ de-generazione “ è la Gran Bretagna. Nel 1997, il regista David Evans porta sul grande schermo il successo di Nick Hornby, Febbre a 90° (Fever Pitch) con Colin Firth. Sullo sfondo del campionato 1988-89, un tifoso dell’Arsenal è diviso tra la passione per il calcio e l’amore per una professoressa. La metafora del calcio viene così usata come chiave del rapporto con la realtà, dall’infanzia all’età adulta. Un film che descrive bene le passioni e le emozioni anche grazie al supporto di immagini di repertorio. Completamente l’opposto di quello che succede in altri due casi, dove l’approssimazione e totale mancanza di padronanza dei due mondi, rendono i film quasi inguardabili. Nel 1999 Mary McGuckian è la regista di Best, film che racconta, purtroppo senza spunti originali, il dramma di George Best, fantasista cupo, anarchico e completamente fuori dagli schemi del Manchester United.

Nel 2001 è invece Barry Skolnick che con Mean Machine rievoca lontanamente la vicenda di Fuga per la vittoria, facendo leva sulla partecipazione di alcuni ex calciatori, tra cui Vinnie Jones, senza però emozionare e coinvolgere in alcun modo. Molto più convincente invece è la vivace commedia di John Hay, Jimmy Grimble (There’s Only One Jimmy Grimble, 2001) premiato anche al Giffoni Film Festival. Il film, nella sua semplicità, racconta le insicurezze di un giovane quindicenne tifoso del Manchester City, la sponda più povera e quindi meno forte tra le due squadre cittadine, alle prese con la passione per il calcio e con un paio di scarpini magici. Anche grazie all’aiuto di Robert Carlyle porterà la squadra scolastica alla vittoria del torneo. Funziona invece nel complesso, ma non certo per le riprese calcistiche, il ritratto sociorazziale che fa Gurinder Chadha nel 2002 con Sognando Beckham (Bend It Like Beckham). Il calcio è lo spunto per Jess, diciannovenne anglo-indiana, per evadere dalle costrizioni famigliari. Il capitano della nazionale inglese (ai tempi ancora al Manchester United) è il suo sogno, la sua ispirazione.
Curioso e originale è poi il caso di un film francese del 2003, Il cuore degli uomini (Le Coeur des hommes, Marc Esposito). Anche se il calcio è ai margini, ci si accorge progressivamente che rappresenta una delle chiavi di lettura dell’intero film. I quattro amici sono quattro giocatori di calcio/vita: c’è il fantasista del gruppo (il classico numero dieci), quello che ne approfitta (il centravanti dell’area di rigore), il terzino destro (quello più ai margini della manovra di gioco) e il portiere (che a volte incassa e a volte respinge gli attacchi degli avversari). Un gioiellino divertente, che guarda all’amicizia e all’amore.
Sempre del 2003 è Good Bye, Lenin! (Wolfgang Becker) a identificare nei Mondiali di calcio del 1990 giocati in Italia, con conseguente vittoria della Germania, un ulteriore punto di svolta nella storia tedesca dopo la caduta del muro di Berlino. Non è marginale invece il ruolo del calcio nel film Berfreite Zone (inedito in Italia) di Norbert Baumgarten del 2002. Le vicende della piccola cittadina di Sasslens si mescolano con quella della squadra di calcio della città e del cannoniere “Blondie“.

Conclude questa carrellata il film del regista Aleksey German Jr., Garpastum (2005), presentato all’ultimo Festival di Venezia. L’elegante film russo (il termine è la translitterazione russa del latino harpastum, cioè palla da gioco) racconta le vicende di quattro amici legati dall’amore per il gioco del calcio, pieni di sogni e speranze, ma che dovranno fare i conti con i tragici avvenimenti accaduti tra il 1915 e il 1918.
Antonello Motosso
Gambe d'oro
I due maghi del pallone
L'arbrito
Il Presidente del Borgorosso Football Club
Il profeta del goal
Il tifoso, l’arbitro e il calciatore
Paulo Roberto Cotechinho centravanti di sfondamento
Al bar dello sport
L’allenatore nel pallone
Mezzo destro, mezzo sinistro
Fichissimi
Eccezziunale veramente
Ultimo minuto
Ultrà
Fuga per la vittoria
Shaolin Soccer
Best
Mean Machine
Jimmy Grimble
Sognando Beckham
Berfreite Zone
Maradona by Kusturica
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