Intervista a Fabrizio Fogliato
Michael Haneke è il regista che ha vinto l’ultimo festival di Cannes, con il suo film (ancora per poco inedito in Italia) ‘Il Nastro Bianco’. In vista della retrospettiva completa dei suoi lavori in programma dal 5 all’11 ottobre a Lodi e Milano, organizzata dal Lodi Città Film Festival, abbiamo intervistato Fabrizio Fogliato, autore per le Edizioni Falsopiano di una monografia sul regista (‘La visione negata’, 239 pp., 15 €) che è stata appena rieditata con pagine aggiuntive sull’ultimo film, quello che ha consacrato un autore scomodo finora misconosciuto in Italia.
Chi è Michael Haneke: molti lo conoscono solo come colui che ha vinto la Palma d'Oro a Cannes, non si sa molto di più su di lui. Come lo descriverebbe (lui e soprattutto il suo cinema)?
Michael Haneke nasce il 23 Marzo 1942. E' figlio di una madre con nobili discendenze ragusane e di un padre commerciante di Dusseldorf. Trascorre l'infanzia presso una zia a Wiener Neustadt, dove cresce circondato da un ambiente perlopiù composto da gente di teatro, musica e letteratura. La sua volontà è quella di diventare pianista, ma ben presto scopre di non avere talento e comincia a occuparsi di drammaturgia. Negli anni '60 lavora sia come recensore che come drammaturgo, mentre nel decennio successivo realizza un cospicuo numero di film per la televisione. All'età di 47 anni, con Der Siebente Kontinent (inedito in Italia) esordisce nel cinema, e da lì in poi realizza una serie di pellicole, che attraverso un cammino complesso e articolato, lo portano lentamente a conoscenza del grande pubblico, consacrandolo definitivamente come uno degli autori più importanti degli ultimi trent'anni. Nel 2001 vince il Gran Premio della Giuria con il film La Pianista tratto dal romanzo omonimo del premio nobel Elfriede Jelineke.
Il suo rapporto con i festival cinematografici è ricco di soddisfazioni fin dagli esordi: lo scorso maggio, vince la Palma d'Oro con il film Das Weisse band (Il Nastro bianco, in uscita in Italia il 30 ottobre). Il suo è un cinema rigoroso, formalmente ineccepibile, glaciale nell'analizzare con distacco i mali oscuri dell'umanità e della società dei consumi.
Come è nato l'interesse per questo regista, cosa l'ha spinta a scrivere su di lui?
Era un caldo e afoso pomeriggio d'agosto del 1997 a Torino (mia città natale) quando, entrato in un cinema per assistere alla proiezione di Funny Games, io, studente universitario, mi ritrovai in una piccola sala piena di gente. Quando si riaccesero le luci, terminata la proiezione, mi ritrovai assieme a soli altri cinque “sopravvissuti” che avevano retto fino alla fine del film. L'episodio fece nascere in me tutta una serie di dubbi e di curiosità che con il proseguire della filmografia del regista trovarono risposte e certezze. Leggendo un giorno un'intervista a Michael Haneke mi imbattei in quella che è la frase simbolo del suo cinema e cioè: “I miei film sono una forma di consapevole omissione del lato bello della vita”. Michael Haneke è così, o lo si ama o lo si odia, perché il suo cinema non conosce mezze misure, ma solo un bianco e un nero all'interno del quale lo spettatore è libero di trovare le sue sfumature.
Il volume come si struttura? Ho visto che ci sono anche diverse interviste.
L'intento del volume non è quello di essere una semplice monografia, ma l'ambizione è quella di raccontare il cinema di Haneke a 360° indagando il tessuto storico e sociale in cui è maturato, scomponendo le contraddizioni del suo cinema e cercando di fare emergere i riferimenti artistici più oscuri e nascosti come quello degli “azionisti viennesi” o quello del “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Il volume segue fedelmente e cronologicamente la filmografia del regista, dividendo le tematiche da lui affrontate in due gruppi distinti e complementari. Dalla “trilogia glaciale” che analizza l'assenza di sentimenti nella società odierna (e che va dal primo film fino al Funny Games del 1997), si passa al concetto di “nemico” analizzato attraverso la progressione cinematografica del periodo francese. Infine una serie di interviste e di scritti d'autore chiudono il volume (la cui edizione è curata da Fabio Francione, direttore del Lodi Città Film Festival), offrendo un'esaustiva carrellata di dichiarazioni e suggestioni a proposito dei vari film.
Nel libro sono analizzati anche due film per la televisione: si tratta di Das Schloss - Il Castello tratto da Franz Kafka e di Die Rebellion - La Ribellione tratto da Joseph Roth, la cui funzione è quella di essere anello di congiunzione tra i due periodi cinematografico-tematici presi in considerazione.
Esiste un titolo che consiglierebbe a chi non conosce per nulla Haneke e vorrebbe iniziare?
Haneke è un autore ostico, e avvicinarsi al suo cinema non sempre può essere così facile. Prendere un suo film come paradigma non è possibile visto che ogni opera è a suo modo diversa e “scandalosa”. Chi già conosce il cinema di Bresson, Bergman e Fleischmann, non avrà difficoltà a confrontarsi con qualunque opera del regista austriaco. Colgo l'occasione per dire che dal 5 al 11 ottobre 2009 a Lodi (durante il Lodi Città Film Festival) e dal 6 al 12 Ottobre 2009 a Milano (presso il Cinema Gnomo), si terrà la retrospettiva integrale delle opere cinematografiche di Michael Haneke, a cura del sottoscritto e di Fabio Francione, in collaborazione con il Forum Austriaco di Cultura. Opportunità quindi per chiunque volesse di conoscere il cinema controverso di Haneke.
Nel corso della sua carriera si è fatto la fama di regista duro e non avvezzo ai compromessi: è d'accordo? È vero che Haneke non è un “regista per tutti”?
Si, il suo è un cinema arcigno destinato a dividere. Un cinema che agisce secondo l'assioma che teorizza che “l'avanzamento tecnologico è direttamente proporzionale all'imbarbarimento dell'essere umano”, di conseguenza bisogna essere pronti a confrontarsi con un regista che non arretra di fronte a nulla e che senza mai mostrare la violenza (relegata da sempre nel fuori campo), ne mostra i devastanti aspetti culturali e psicologici.
Ha avuto modo di vedere l'ultimo film? Cosa ne pensa (anche delle polemiche dopo la vittoria a causa del suo rapporto con Isabelle Huppert...)?
Per quanto mi riguarda le polemiche festivaliere sono pretestuose e servono a riempire le pagine dei giornali. Il Nastro Bianco, l'opera premiata a Cannes, è un film talmente fondamentale e puntuale per il momento storico che stiamo vivendo, che preferisco lasciare alle immagini ogni giudizio storico e morale. Il Nastro Bianco è un film radicale che ragiona lucidamente sui prodromi universali di ogni movimento totalitario e/o violento. Che si tratti di nazismo, di fascismo, di terrorismo o di fondamentalismo religioso, non ha importanza, perché il film spiega obiettivamente come ogni forma autoritaria e repressiva non possa non portare con sé esiti nefasti. Come integrazione al mio libro è in uscita per le Edizioni Falsopiano un web-book monografico dedicato a Il Nastro Bianco (NdR: a disposizione sul sito della casa editrice a questo indirizzo: http://www.falsopiano.com/ilnastrobianco.pdf).
A cosa sta lavorando ora Haneke?
In questo momento si sta dedicando alla promozione del suo film in giro per l'Europa. Si ha notizia di un progetto intitolato Wolfszeit scritto nei primi anni '90, ma di cui non si ha alcuna informazione riguardo a una possibile realizzazione.
Prima di questo libro su Haneke aveva pubblicato una monografia su Abel Ferrara dal titolo "Flesh and Redemption". Secondo lei ci sono punti in comune tra i due registi e quali invece le differenze più evidenti?
Cinematograficamente parlando non c'è niente di più distante come il cinema di Ferrara e quello di Haneke. L'unico elemento di congiunzione è quello sul senso di colpa cattolico che attraversa i film di entrambi i registi. In entrambi i casi si tratta di due cineasti sia di difficile classificazione, sia di autori estremi e mai concilianti con il proprio pubblico.
Come nasce la scelta del titolo del libro “La visione negata”?
La scelta è legata sia all'utilizzo insistito del fuori campo, sia al concetto di negazione di ogni aspetto di felicità. Inoltre essendo un regista che pone domande ma che non da alcuna risposta è inevitabile che quella dello spettatore non possa essere altro che una “visione negata”.
Quali sono le caratteristiche registiche più ricorrenti nella cinematografia di Haneke e quanto sono importanti per lui le musiche e il montaggio?
Nel suo cinema questi codici sono elementi rarefatti. La musica è sempre diegetica (non esiste mai colonna sonora) e funge da commento o da rafforzamento psicologico alle varie situazioni. Il montaggio è scarno e rigoroso, ma proprio per questo tende attraverso la sua semplicità ad elevare sia la pulizia dell'immagine sia l'intensità dei concetti espressi. I codici cinematografici, più in generale, sono per il regista austriaco un corollario marginale utilizzato esclusivamente per commentare immagini di forte impatto visivo che dietro la loro linearità nascondono un complesso di significati e domande non sempre così chiari dopo un'unica visione dei film.
Carlo Griseri, Marco Frassinelli
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