Intervista ai curatori: Costanzo Antermite e Gemma Lanzo
Di libri di cinema ne escono tanti ogni anno ma nonostante questo alcuni autori continuano a essere dimenticati da editori e critici. È il caso del regista ceco Jan Švankmajer, considerato uno dei più importanti e innovativi animatori del mondo, su cui però esiste una scarsissima bibliografia in lingua italiana. Riempie questo vuoto il sesto volume della Collana Moviement, interamente dedicata a lui e alla sua opera. Abbiamo intervistato i curatori: Costanzo Antermite, storico del cinema e studioso di antropologia visuale, e Gemma Lanzo, editore nonché co-curatore della collana.
Cos’è Moviement?
Gemma Lanzo (G.L.) - Moviement è un libro/rivista che affronta le componenti formali e di contenuto di diverse cinematografie. Abbiamo esordito con David Lynch e passando per Kira Muratova e Jan Švankmajer abbiamo dedicato l’ultimo volume ai fratelli Coen. Finora la formula è stata monografica e dedicata alla figura e all’opera di un singolo regista, ad eccezione del volume riservato al genere horror italiano. La prima parte del libro studia trasversalmente l’intera produzione filmica dell’autore preso in esame, poi c’è una sezione dedicata all’analisi di un singolo film e a concludere una terza parte rivolta invece alle interviste, curiosità varie e ricerca bibliografica. La peculiarità penso sia il modo semplice e approfondito con il quale tutto ciò viene preso in esame, grazie ai contributi di autorevoli studiosi.
Il libro su Jan Švankmajer è il primo di questa collana dedicato ad un animatore. Come mai avete scelto proprio Švankmajer?
G.L. - Ho visto per la prima volta le opere di Jan Švankmajer durante un corso di Animation Cinema tenuto dal professore Michael O’Pray, presso la University of East London dove ho studiato. Ho da subito trovato l’opera di Švankmajer unica! Poi parlando con Costanzo, abbiamo deciso che era necessario pubblicare una monografia su questo grande artista; naturalmente ho chiesto a Michael O’Pray di partecipare ed è stata per me una gioia che abbia accettato.
Costanzo Antermite (C. A.) - Su Jan Švankmajer esisteva in italiano un volume del 1997 a cura del Bergamo Film Meeting e pochissimo altri scritti. Dopo la pubblicazione del volume di Peter Hames, The Cinema of Jan Švankmajer: Dark Alchemy, edito dalla Wallflower Press nel 2008, abbiamo deciso che anche da noi occorreva aggiornare la figura e l’opera di questo grande artista.
Švankmajer è il secondo autore dell’est europeo che trattate sulle pagine di Moviement. Secondo voi perché il cinema dell’Est Europa è così poco conosciuto nel nostro Paese?
G.L. - Forse l’unico ad aver raggiunto una certa popolarità tra i registi dell’Europa dell’Est è Krzysztof Kielowski, ma è anche vero che i film che lo hanno portato al grande pubblico vedono coinvolti nella co-produzione paesi quali la Francia, la Svizzera e la Norvegia. Per rispondere alla tua domanda, penso che in parte ciò sia dovuto ad una grossa difficoltà legata ad accordi di distribuzione ma non è un problema unicamente delle cinematografie dell’Europa dell’Est, se pensiamo ad esempio alle cinematografie sommerse di quello che viene identificato come World Cinema; un nome per tutti la regista senegalese Safi Faye. Dobbiamo ringraziare i Festival quali Berlino e Venezia che divulgano l’opera di grandi registi, proprio quest’anno il Leone d’Oro è andato al russo Aleksandr Sokurov.
C.A. - Oltre alle difficoltà della distribuzione legate anche al fenomeno della cosiddetta “censura del mercato” c’è da dire che la cultura cinematografica dello spettatore italiano è notoriamente anglofila (cinema made in U.S.A. su tutti) e lo spazio riservato ad altre cinematografie (come quella dell’Est Europa) e abbastanza limitato.
Švankmajer è da molti considerato un genio e la sua opera è impossibile da etichettare. Come descrivereste il suo cinema a qualcuno che non ha mai visto un suo film?
C.A. - Descrivere in poche battute il cinema di Švankmajer non è praticamente possibile. Per entrare nel cuore della cifra stilistica di questo grande “alchimista” della settima arte consigliamo piuttosto, a chi non ha mai visto niente della sua opera, di iniziare con tre cortometraggi, L’ultimo numero del signor Schwarzewald e del signor Edgar (1964), Possibilità di dialogo (1982), Oscurità Luce oscurità (1989). L’aspetto più importante del cinema Švankmajeriano è quello di trattare temi universali con tecniche di rappresentazione tra le più inconsuete. L’aspirazione dichiarata di Švankmajer è quella di fare “documentari surrealisti”.
G.L. - Concordo appieno. I temi trattati sono universali, e l’utilizzo di tecniche quali la stop-motion rende i suoi film assolutamente unici. Come lui stesso cita nel “Decalogo”, da noi pubblicato a chiusura del libro, “animazione non significa muovere oggetti inerti ma farli rinascere, più precisamente riportarli alla vita”. E nelle opere di Švankmajer è sicuramente presente questo aspetto “magico”. Poi non va dimenticato che oltre ad essere un regista è anche uno scultore ed un pittore e questa sua vocazione è presente in tutti i suoi film.
Nel libro, tra le fonti di ispirazione di Švankmajer, si citano Edgar Allan Poe, il surrealismo, il Marchese Da Sade e Giuseppe Arcimboldo. La sua varietà di tecniche di ripresa e di animazione possono essere il suo modo di amalgamare stimoli così distanti tra loro?
C.A. - La varietà delle fonti di ispirazione e la varietà delle tecniche di ripresa unite insieme sono il segreto dell’arte cinematografica di Jan Švankmajer.
G.L. - È stato fondamentale parlare, nel libro, della formazione di Švankmajer che oltre ad aver fatto parte del movimento surrealista ceco ha sempre esternato queste sue “influenze”, rendendo omaggio, in piena censura sovietica ad Arcimboldo e Edgar Allan Poe in film quali Flora, Il pozzo e il pendolo e la speranza e La caduta della casa Usher.
Non si può analizzare l’opera di Švankmajer senza tenere presente la sua vita. Il clima di oppressione intellettuale e censura politica come ha influenzato il suo cinema?
C.A. - Certamente il clima oppressivo del “socialismo reale” (che in Cecoslovacchia sfociò nel 1968 nella “Primavera di Praga”) è stato un fattore abbastanza determinante nella costruzione delle linee poetiche del cinema di Švankmajer.
G.L. - Come ha dichiarato lo stesso Švankmajer il “salto temporale” nella sua filmografia è stato causato dal suo andare contro l’ideologia dei censori e dal suo rifiuto di fare quello che loro volevano facesse. Non ha realizzato alcun film dal 1973 fino al 1980 ed è stato messo su una lista nera proprio a causa del sopra citato Il pozzo e il pendolo e la speranza.
Probabilmente Švankmajer rimarrà personaggio unico e irripetibile nella storia del cinema, ma ci sono autori che hanno proseguito sul sentiero da lui tracciato?
C.A. - Come abbiamo scritto nell’editoriale i registi contemporanei che sono stati maggiormente influenzati dall’opera di Jan Švankmajer sono nell’ordine i fratelli Quay (Sthephen e Timothy), Terry Gilliams, Peter Greenaway e Tim Burton.
Marco Frassinelli
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